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Nikos Salingaros sulla struttura urbana #6 Complessità e Coerenza Urbana

Domenica 15 Giugno 2014 09:00  |  Editoriali, Teoria  |  

di Nikos Salingaros 

L’ordine degli elementi urbani a grande scala

Abbiamo introdotto i meccanismi per connettere del tessuto urbano alla piccola scala, sostenendo che la complessità, l’interconnessione e la forma organica sono requisiti preliminari ed essenziali di regioni vive. La ricerca verso tale approccio è stata aperta da pionieri come Camillo Sitte (Collins e Collins, 1986), Gordon Cullen (Cullen, 1961), Jane Jacobs (Jacobs, 1961) ed altri (Alexander, Neis ed altri, 1987; Lozano, 1990; Moughtin, 1992; Moughtin, Oc ed altri, 1995). La scienza ha fornito un inatteso supporto ai tradizionali metodi umanistici. Un valido apporto alle applicazioni dei principi generici della forma e del disegno urbano deve spiegare perchè le vecchie tecniche funzionano mentre quelle nuove — sostenute dalle discussioni ideologiche, filosofiche e tecnologiche e da una tradizione recente — hanno prodotto, allo stato, distruzione.

Il seguito del capitolo analizzerà quello che accade alle differenti scale. Raramente le città sono progettate come un tutt’uno. Oltre agli esempi artificiali (che sono stati criticati severamente), la forma urbana è per gran parte il risultato dei processi economici legati al mercato dei suoli; in contrapposizione alle strutture e regole dettate dalle istituzioni per il governo degli stessi. In questo senso, l’insieme non è progettato da chiunque, né è governato da principio estetici. È facile, quindi, dubitare che una teoria architettonica o del disegno urbano può, o potrebbe, essere applicata ad ogni livello di scala. Mostreremo come differenti forme possono essere il risultato di principi geometrici che lavorano a differenti livelli di scala (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale). I risultati dimostreranno che il tessuto urbano può effettivamente essere governato dalle stesse regole della scultura e delle costruzioni.

 

Intensità e range d’azione delle forze urbane

Una esplorazione nel mondo della fisica fornirà un supporto al fine di comprendere la natura delle connessioni urbane alle differenti scale (regola 4). Ogni forza f rappresenta il risultato di una differenza in un certo campo U, il quale rappresenta una qualità geometrica, o una funzione. È facile vedere dove il campo U diviene più grande per effetto di una concentrazione o della intensità. La forza f è definita come derivata spaziale negativa relativa all’energia potenziale del campo U:

f = – dU/dr

(per i lettori che non conoscono il calcolo, la forza può pensarsi come un rapporto: la differenza del potenziale U diviso per la distanza dr con la quale la differenza potenziale è misurata). Questa equazione dà una forza più forte in cui la differenza nel potenziale è più grande. La differenza nel potenziale tradotta e traslata in un contesto urbano diviene una differenza qualitativa all’interno di una piccola distanza; l’implicazione è che vi sarà una forza di unione tanto più forte ogni qualvolta che ci sarà un maggiore contrasto nell’aspetto qualitativo come la tessitura, il colore, o la curvatura dell’interfaccia (regole 1 e 2).

Sulla scorta di quanto detto, la suddetta formula può spiegare due patologie tipiche dell’urbanistica del XX secolo: (1) la perdita di coerenza formale all’interno di porzioni di regioni; e (2) le disfunzioni dei margini in quelle parti ove sono presenti funzioni con elevata concentrazione verticale. Il potenziale U è lo stesso nell’ambito di una regione omogenea, in tal modo l’assenza di differenziazioni comporta che non ci possano essere forze coesive atta a tenere insieme la regione. Ciò implica che il contrasto — ad esempio la complessità — risulti necessario all’interno di ogni regione urbana. Ciò spiega il perché lo zoning e la segregazione delle funzioni, nonché il disegno minimalista eliminano ogni forma di coerenza urbana. Una seconda applicazione di questa formula mostra del perchè vi sia una necessità di connettività tra le differenti interfacce urbane. La concentrazione verticale della funzione U in un complesso monofunzionale a torre, genera enormi sforzi funzionali nelle aree di bordo della costruzione. Ciò si presenta a causa del tremendo salto nel campo U ad alla brusca impennata nei bordi (il che significa un valore dr molto piccolo in altezza).

Esistono differenti tipi di forze che operano alle differenti scale. L’equazione vista fornisce anche una comprensione generale della loro forza e raggio d’azione. Per potenziali comparabili, ogni forza è inversamente proporzionale alla dimensione spaziale, la qual cosa significa che una forza molto forte agisce sulle brevi distanze, mentre una forza più debole agisce nelle lunghe distanze (regola 4). Questo risultato è verificato in natura. Sia i satelliti orbitali che i corpi umani sono attratti dalla forza gravitazionale terrestre, per mezzo di una forza relativamente debole. Ogni corpo è tenuto assieme attraverso forze chimiche più forti, le quali dipendono dalla più forte interazione elettromagnetica. Per concludere, la forza più forte che si conosce è quella che tiene assieme i nuclei atomici, anche se essa non ha effetto nelle immediate vicinanze del nucleo.

Anche in un sistema complesso artificiale quale il tessuto urbano, è impossibile violare la inversa proporzionalità fra intensità della forza e raggio d’azione. La contrapposizione di grandi unità genera una serie di forze artificiali sulla grande scala, forze che finiscono con il sopraffare tanto quelle a breve raggio, necessarie per gli accoppiamenti, che le più deboli forze a lungo raggio necessarie per la coerenza urbana. Le Corbusier ha tentato di invertire l’intensità e i raggi d’azione delle forze urbane (regola 4). La sua congettura — errata e senza qualsiasi fondamento scientifico — era che questa radicale riorganizzazione avrebbe risolto i problemi a cui si sono trovate di fronte le città nel passaggio tra il XIX ed il XX secolo. Purtroppo egli non si è mai reso conto che un tale atteggiamento era fisicamente impossibile e capace di indurre la dissolvenza delle interazioni strutturali fra le unità urbane.

 

Entropia ed organizzazione spaziale

Gli accoppiamenti stabiliti a scala ridotta attraverso e per mezzo di forze a corto raggio non portano necessariamente ad una coerenza sulla grande scala. Il sistema deve generare la grande scala in accordo con i principi ordinativi. Le forze che operano su di un ampio raggio d’azione differiscono da quelle di accoppiamento agenti sul corto raggio, così come discusso sopra. “L’ordine alla grande scala si manifesta allorquando ogni elemento si mette in relazione ad ogni altro elemento ad una distanza tale che induce una riduzione di entropia” (Salingaros, 1995).

L’entropia è un concetto dalla fisica che misura il grado di disordine. Una scatola dei fiammiferi sparsi a caso sul pavimento fornisce un modello con una alta entropia visiva. L’entropia si ridurrà nel momento in cui i fiammiferi saranno allineati in una configurazione più ordinata. Non deve essere un modello rettangolare, ma potrebbe assomigliare ad una ragnatela o ad una spirale. Le simmetria matematiche — in questo caso translazionali, di rotazione, radiali, o a spirale — generano un ordine alla grande scala, ordine che abbassa l’entropia visiva.

Un altro esempio è offerto dalla riorganizzazione di bastoncini di differente lunghezza e colore che siano stati disposti secondo una distribuzione casuale. Dei possibili infiniti modelli ottenibili, il più inimmaginabile è quello che separi i bastoncini secondo un ordine che metta assieme i bastoncini con lo stesso colore e la stessa lunghezza. La concentrazione di elementi simili (come accaduto per lo zoning del dopoguerra) fa sì che non ci possano essere accoppiamenti sulle scale basse e per gli elementi posti a distanze ravvicinate, in quanto non c’è contrasto. L’entropia è stata abbassata, attraverso l’eliminazione degli elementi posti sulle scale più basse. Ciò viola le regole 6 e 7. Senza riguardo alcuno per le regole generali un tal insieme non potrà mai realizzare una coerenza perché non ha abbastanza complessità.

Il principio che è alla base dell’organizzazione urbana è che le forze di allineamento siano a lungo raggio e che siano più deboli delle forze di accoppiamento, le quali agiscono sulle corte distanze (regola 4). L’allineamento deve poi rispettare ogni specifico modulo e non cambiare la sua struttura interna attraverso il disfacimento degli accoppiamenti fra i diversi elementi. Per ridurre l’entropia (disordine) in una struttura urbana, è necessario stabilire un gran numero di collegamenti a lungo raggio fra tutti i differenti moduli (regola 5). Devono esistere differenti livelli di scala ove ciò accada (regola 6). Differenti tipologie di collegamenti sono creati in accordo con i corrispondenti processi generativi, ma non attraverso un modello visivo elementare. Le attività umane non dipendono dalla simmetria visiva del progetto, il quale è ordinato geometricamente sebbene la tal cosa non sia percepibile all’interno dell’ambiente urbano. Gli ambienti urbani che sono fortemente connessi (quindi ben riusciti) usualmente, nelle viste dall’altro, appaiono fortemente irregolari (Gehl, 1987).

La geometria dell’ambiente costruito come espressione di uno sviluppo naturale ed incontrollato delle città è frattale e non casuale (Makse, Havlin ed altri, 1995). Ciò fa una enorme differenza: lo sviluppo urbano è un processo connettivo su tutti i livelli di scala; l’opposto di ciò che sarebbe un processo causale. L’ordine imposto attraverso il progetto prova a neutralizzare questa erronea nozione di sviluppo “casuale” (Batty e Longley, 1994). La maggior parte delle aree urbane meglio riuscite tendono più ad essere quasi “ordinate” piuttosto che quasi “disordinate” (Hillier, 1999). La linearizzazione è una approssimazione conseguenziale al movimento umano e conduce ad una forma di chiaro ordine urbano. Ciò non implica linee perfettamente diritte o parallele, quanto piuttosto una distesa linearizzazione della forma urbana indotta dalla struttura dei percorsi. Senza riguardo alle forze d’ordinamento approssimativamente lineari dovuti alla rete di trasporto, una città non potrà mai essere completamente allineata senza perdere la relativa coerenza geometrica.

 

La riduzione di entropia non genera collegamenti locali

L’allineamento urbano organizzato secondo una griglia rettangolare è una tecnica utile al fine dell’abbassamento della complessità generata da una topografia irregolare come, ad esempio, in città collinari quali Priene e San Francisco; in particolare, una variazione troppa accentuata a livello del suolo (asse z) può essere contrastata attraverso una griglia ortogonale organizzata secondo un sistema di assi x-y. Ciò è stato male interpretato ed comportato una mera replica delle vecchie tecniche per la generazione forti connessioni alla piccola scala. Oggi siamo ossessionati con gli allineamenti degli oggetti, anche se una interfaccia dritta impedisce la maggior parte degli accoppiamenti geometrici. (Usando l’analogia dello sfregamento introdotta precedentemente, le interfacce regolari e perfettamente dritte non si accoppiano vicendevolmente). Le figure 8, 9 e 10 illustrano tre casi distinti di ordinamento. Nella figura 8, elementi non interattivi sono stati allineati, così come accade in una città contemporanea. Nel caso opposto, dove gli elementi di interazione non mostrano un allineamento generale, si ha, decisamente, una forma organica (figura 9). Le dinamiche umane tendono a linearizzare una città così che il relativo progetto risulta molto più allineato che non la figura 9 (Hillier, 1999).

 

Figura 1.8. Elementi allineati ma che non si uniscono.

Figura 1.9. Elementi uniti ma non allineati.

Figura 1.10. Elementi uniti ed allineati.

La figura 4.10 presenta tanto l’accoppiamento che allineamento (con più simmetria di quanta richiesta per un progetto urbano). Essa è rievocativa delle trame di tappeti orientali o degli antichi vasi di bronzo cinesi, in cui la simmetria bilaterale veniva usata poiché i modelli venivano visti frontalmente. Una città è organizzata secondo un modello approssimativamente lineare per mezzo della sua rete di trasporti, in tal modo il relativo progetto non necessita di simmetrie riflesse. Tuttavia, molti pianificatori urbani giudicano il disegno urbano attraverso una astrazione vista planimetricamente — così come nel modello disconnesso del XX secolo come appare figura 4.8 — e che non tiene conto delle funzioni urbane al suolo capaci di generare una propria forma coerente. L’ordine sulla grande scala può essere imposto, ma ciò deve essere fatto con attenzione e comprendendo l’energia e la potenza di tutte le forze in gioco.

Oggi gli architetti, come tecnica generale del disegno urbano, usano griglie ortogonali anziché i collegamenti tra i differenti elementi. Vi è una falsa base teorica dietro questa idea: e, cioè, che nessuna connettività negli spazi brevi viene indotta dall’allineamento ortogonale (regola 5). Questo malinteso di base è diventato così dominante da divenire una sorta di inattaccabile postulato. Ciò fa’ sì che la gente immagini, nel proprio inconscio, una griglia tridimensionale che pervade lo spazio, e che organizza gli elementi urbani; non soltanto gli edifici, le pareti ed i percorsi, ma anche i mattoni, le finestre, le porte, i gradini, le sporgenze, il verde curato ed i prati e gli appezzamenti regolari e coltivati. Si crede che gli elementi allineati abbiano la capacità di connettere gli elementi che appartengono a questa rigida struttura ortogonale. Poiché non c’è una tale griglia, i collegamenti immaginati sono inesistenti.

Due analogie possono costruirsi attraverso una composizione che utilizzi blocchetti LEGO. Nel primo caso, si operi una cucitura dei materiali facendo attenzione ai collegamenti locali ma non ad un modello generale, in modo tale che la composizione sia piana con giunture non allineate. In contrasto a ciò si utilizzi la stessa trama secondo un modello ortogonale disteso sul pavimento, senza operare cuciture.

Nel secondo caso, si usino i blocchetti LEGO per costruire un giocattolo tridimensionale. Si contrapponga a questo modello un altro costruito ponendo i blocchetti LEGO su di un tavolo, secondo una griglia ortogonale e senza unirli. In entrambi i casi, il prendere un blocco o una patch non implicherà la presa di tutto il resto; essi sono allineati ma non saldati. Allo stesso modo, le città storiche sono complesse e connesse, mentre quelle contemporanee sono allineate ma disconnesse.

Vi è un apparente ed ingannevole ordine che è funzione esclusiva della griglia ortogonale, ordine che fornisce una falsa impressione di connessione che in realtà non esiste. Un semplice test per il grado di connessione è il seguente: è il tessuto urbano stabile per effetto di deformazioni del piano? Ovvero se spostiamo gli elementi in modo da creare una frattura nella griglia rettangolare, la città rimarrà ancora connessa? Molto spesso ciò non accade; essa si spezza appena il reticolo lineare si perde, e ciò perché i suoi elementi non sono mai stati collegati in prima istanza. La periferia è distaccata per scelta. D’altra parte, gli accoppiamenti verticali (ad esempio, appartamenti sopra i negozi, o gli uffici sopra gli appartamenti) sono stabili dato che non sono influenzati da perturbazioni orizzontali. Purtroppo, questi accoppiamenti tradizionali sono oramai in disuso per effetto della segregazione funzionale.

 

Come la grande scala influenza la piccola scala

Un campo connettivo tridimensionale permea un tessuto urbano coerente. Le sue proprietà sono completamente diverse dall’immaginaria griglia discussa in precedenza. Gli accoppiamenti sulle brevi distanze legano assieme le unità poste alla piccola scala e queste ultime sono rinforzate tramite collegamenti più deboli che agiscono sulla lunga ed intermedia distanza (regole 4, 5 e 6). L’ordine generale e la struttura di una città sono influenzati da quanto richiesto dalle sue funzioni, dalla sua topografia e dai flussi di traffico. In un sistema coerente, tutti i componenti sono interconnessi, in modo che ogn’uno di essi interagisca con ogni altro elemento in un qualche modo. L’unione di tali elementi genera un campo morfologico che interagisce con ogni singolo elemento e questa interazione può essere positiva o negativa.

In una struttura coerente, un singolo elemento di un modulo sarà influenzato da tutte le forze locali generate dagli altri elementi di quel modulo ed indirettamente dagli elementi fuori del modulo. Gli elementi vicini interagiscono vicendevolmente, a meno che non vi sia una situazione di voluto isolamento. La posizione e perfino la struttura di ogni singolo elemento saranno così influenzati da tutti gli altri elementi del contesto (Alexander, 2001-2005). Naturalmente, un elemento urbano potrebbe essere formato da una qualsiasi struttura ed essere posto in una qualunque posizione, ma ciò genererà forze insolute. Quando la struttura e la posizionare di un elemento sono perfette — cioè le forze di interazione impiegate da tutti gli elementi circostanti sono in accordo — raramente si avranno simmetrie o strutture perfettamente diritte. Questa plasticità è la caratteristica che ha dato vita alle città tradizionali.

L’evoluzione di un sistema complesso attraverso il tempo è stata trattata nella precedente sezione, mostrando che la coerenza si sviluppa dal piccolo verso il grande (regola 6). L’attuale modello urbanistico gerarchizzato è ancorato su termini opposti: ovvero dalla grande scala alla piccola (per un compendio delle teorie gerarchiche della progettazione urbana si veda (Friedman, 1997)). Anche sotto la guida di principi generali di organizzazione, si prosegue ad organizzare il tessuto urbano secondo procedure che vanno dalla grande scala alla piccola (Alexander, 2001-2005; Alexander, Neis ed altri, 1987).

Un progetto urbano insufficiente è si palesa per mezzo della sua alta simmetria visiva, la quale implica solitamente il sacrificio degli elementi a piccola scala rispetto agli elementi a grande scala. Ogni rigido ordine urbano, organizzato secondo una scala che va dall’alto al basso, è un ordine imposto e che viola la regola 7.

La causalità espressa nella regola 7 e che esprime il principio secondo il quale la grande scala dipende dagli elementi posti sulla piccola scala, non dovrebbe esse disconosciuta. Una volta stabilita una procedura, risulta molto difficile apportare cambiamenti perché vi è la presenza di tante substrutture. Tutte le sub-unità devono essere spostate insieme con il modulo a grande scala. Al contrario, è relativamente facile operare cambiamenti per gli elementi alla piccola scala, elementi che non dipendono da quelli posti alla grande scala (Habraken, 1998). Le stanze, ad esempio, possono essere riorganizzate senza per questo cambiare il resto della casa; le abitazioni possono essere spostate senza per questo modificare la rete stradale; i quartieri possono essere ridisegnati/ridefiniti senza per questo cambiare il resto della città.

L’opposto di questa capacità di cambiamento a senso unico in un sistema complesso è, talvolta, espressa come: “la grande scala sovrasta la piccola scala” (Habraken, 1998).

 

Riconnettere la città aleatoria

La complessità di un sistema coerente è proporzionale alle sue dimensioni. Lo stesso nodo in una piccola città è meno intenso di un identico nodo situato nel mezzo di una grande città poiché, in entrambi i casi, questa area sviluppa la propria energia dal resto della città (Hillier, 1997). Un insieme di negozi posti sulla via principale di un villaggio potrebbe mettere in comunicazione fino a 2.000 persone; viceversa, il medesimo insieme posto in un contesto di una capitale europea potrebbe arrivare ai 2 milioni di persone. Questo effetto è naturalmente presente soltanto se il tessuto urbano è interconnesso. In una città viva ogni nodo si collega agli altri nodi, in modo tale che ciascuna componente è influenzata dalla capacità dell’intero sistema, e cioè, dall’estensione della città. Paradossalmente, la nostra civiltà sta ora provando a collegare elettronicamente le città, mettendo in disparte la questione geometrica. Molti esperti prevedono che i collegamenti elettronici risolveranno i problemi urbani, ma essi mai potranno rispondere all’esigenza di connessione del tessuto urbano.

I nodi importanti sono stati posizionati nel centro geografico delle città. Al giorno d’oggi, la rottura delle connessioni ha comportato il fatto che non necessariamente i nodi centrali siano quelli più connessi. Ciò nondimeno, molte attività commerciali ritengono ancora che una posizione centrale offra vantaggi sotto l’aspetto dei collegamenti. Malgrado la rete di connessione elettronica delle città moderne, soltanto determinate regioni geografiche nel mondo mostrano un livello elevato di attività creativa. Il motivo è che esse hanno la giusta coerenza per promuovere performance commerciali e creatività. La complessità — consistente in una miscela di attività legate alla ricerca e alla presenza di istituzioni formative, unita alla cultura ed ad una ottima rete di comunicazioni (inclusi i collegamenti aerei) — fornisce la giusta matrice per le attività basate sulla conoscenza (Garnsworthy ed O’Connor, 1997).

Nelle grandi aree del mondo, non c’è attualmente un grado misurabile di coerenza geometrica, eccetto che in poche e vecchie città conservate per turismo, o trascurate dai processi di disconnessione in quanto divenute quartieri poveri. Purtuttavia, il rinnovamento urbano va verso la distruzione anche di queste aree, operando tagli nel tessuto geometrico con precisione chirurgica. La popolazione residente, fortemente svantaggiata, a quel punto finisce con il perdere la propria umanità, per il conseguenziale effetto della variazione nella geometria urbana. Le odierne città, per effetto di questa disconnessione geometrica rappresentano un fallimento ambientale per una grossa fetta tanto della popolazione sana (bambini, adolescenti, madri con i bambini e anziani) che per i soggetti disabili. La soluzione è quella di riconnettere tutti i pezzi della città; e ciò a tutti i livelli di scala.

 

L’integrazione di elementi commerciali nei sobborghi

La regola 1 sottolinea che i negozi devono integrarsi spazialmente con le abitazioni; connettendosi nel miglior modo possibile con tale componente residenziale (Jacobs, 1961; Lozano, 1990). Molti residenti desiderano staccare le aree residenziali dalle zone commerciali, senza rendersi conto di come ciò distrugge la coerenza del quartiere. Purtroppo, questa idea predomina, così che i nuovi complessi commerciali restano non integrati nel tessuto suburbano, risultando accessibili soltanto in automobile. Uno degli ostacoli maggiori all’integrazione degli spazi commerciali è la presenza di lotti omogenei di spazi destinati a parcheggio; tali ambiti distruggono tanto la rete dei percorsi che gli spazi verdi. Le regole descritte qui possono essere applicate al fine di generare spazi destinati a parcheggio, ma che abbiano una coerenza interna e che siano parzialmente pavimentati attraverso l’accoppiamento con porzioni di verde, le quali non dovranno rassomigliare alle desertiche distese asfaltate che oggi coprono le nostre città.

Quando ci sono abbastanza unità residenziali a supportare i negozi di un quartiere, questi ultimi appariranno come parte integrante del contesto, a meno che ciò non sia proibito dalle norme dello zoning. Ciò, sebbene la crescita delle periferie crei seri problemi di trasporto per effetto della bassa densità e sebbene il falso argomento dell’“economia di scala” usato contro i piccoli negozi chiaramente non regga. I pianificatori sono sconcertati dal riapparire delle piccole drogherie nei sobborghi — come stazioni di rifornimento con annessi negozi — perché, in accordo con i canoni del disegno urbano del XX secolo, per esse non vi era posto. Moduli che combinano agglomerati di case, percorsi, strade e le zone verdi non possono ripetersi indefinitamente, ma devono contrapporre qualcos’altro per definire un modulo su una più vasta scala urbana. La scelta più appropriata è quella di nodi commerciali quali negozi di quartiere, i centri di assistenza, ecc.

L’accoppiamento ci aiuta anche a capire i percorsi come interfacce. Strade differenti (in funzione delle differenti velocità di flusso) sono definite secondo la loro integrazione; in spazi verdi, spazi di parcheggio, o negozi. Il verde e le arterie ove si trovano strutture commerciali al dettaglio contengono percorsi pedonali o marciapiedi, e concorrono a formare il vasto boulevard alberato europeo (Greenberg, 1995). Le unità commerciali si formano naturalmente (e sono quelle meglio riuscite) quando sono accoppiate sia ai percorsi pedonali che alle arterie locali. Tuttavia, l’accoppiamento per una strada con traffico limitato cambia in maniera discontinuo/intermittente quando il flusso del veicolo aumenta. Quando il traffico eccede una determinata soglia, diventa necessario isolare i pedoni dalla strada. Dopo una seconda soglia, una strada non può accoppiarsi a nessun elemento urbano attivo, ma risulta necessario creare un bordo che isoli e protegga le aree contigue ai veicoli.

 

Alcuni suggerimenti per assemblare una città gerarchicamente

Per creare una nuova e coerente forma urbana, una parte significativa degli attuali complessi urbani dovrebbe essere modificata o ridisegnata per intero. Ciò è valido tanto per le aree residenziali periferiche che per le megatorri del centro, la cui struttura ed uso è stata drasticamente alterata. Ancor più che per le modifiche intervenute sulle costruzioni, la geometria dello spazio pubblico, le aree di parcheggio, le piazze urbane, i parchi, i marciapiedi e le strade dovrebbero essere ricostruiti. Molti autori hanno suggerito le regole per ottenere una composizione di urbana più coerente, sostenuti in questo, da sensate strutture teoriche (Alexander, Ishikawa ed altri, 1977; Alexander, Neis ed altri, 1987; Gehl, 1987; Greenberg, 1995; Kunstler, 1996; Lozano, 1990). False controargomentazioni hanno condannato tali esposizioni come idee antiquate, romantiche, non innovatore, o non abbastanza moderne, prevalendo così, su di esse ed adottate fino ad oggi.

 

La composizione gerarchica degli elementi urbani

La città è composta dall’accoppiamento di elementi alle differenti scale. Per avere un’idea generale del rapporto esistente tra le differenti scale, ricordiamo quanto detto prima: “la piccola scala è in relazione con la grande scala attraverso una gerarchia di collegamenti intermedi in cui fattore scalare è, approssimativamente, uguale a 2,7” (Salingaros, 1995). Il rapporto fra le differenti scale del tessuto urbano dovrebbe corrispondere approssimativamente a detto valore numerico, il quale è uguale alla costante logaritmica. Non cerchiamo un rapporto di scala esatto; la questione è quella di permettere che gli elementi urbani formino in una gerarchia alle differenti scale (regola 6) (Alexander, 2001-2005; Lozano, 1990). I contorni dei contorni generano elementi sempre più piccoli e questo processo continua nelle forme architettoniche. Tutti i componenti devono essere strettamente accoppiati, con i contorni che servono da raccordo intermedio fra gli elementi di simile formato (regola 3).

Le forze funzionali e geometriche generano una gerarchia scalare approssimativa se alla struttura connettiva è permesso di svilupparsi quanto più liberamente possibile. Sia le interfacce frattali che i contorni di connessione, nonché gli accoppiamenti geometrici ed i raggruppamenti dipendono dagli elementi minimali, i quali definiscono le unioni e gli elementi intermedi (regole 4 e 5). La coerenza geometrica può essere realizzata soltanto se si applicano le medesime fondamentali regole alle differenti scale del disegno, assicurandosi di non trascurare alcuna particolare scala dello stesso. Le regole dell’accoppiamento agiscono al fine di raggiungere risultati qualitativamente differenti alle differenti scale. Esistono fondamentali ragioni matematiche per cui l’architettura ed il disegno urbano, in accordo con la massima libertà permessa, si sviluppino attraverso successivi processi scalarmene indipendenti (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale).

La nostra attuale ossessione con elementi rettilinei è un efficace metodo per sopprimere la struttura gerarchica. Una linea retta è limitata dai relativi punti finali, in tal modo ogni elemento perfettamente diritto ha una singola scala fissata, la quale corrisponde alla relativa lunghezza. Una curva complessa o piana ha, invece, una serie di sub-scale definite dai relativi (punti di) flesso ed è un così ricco oggetto matematico a causa della relativa sub-struttura gerarchica.

Il raddrizzando di una linea rimuove tutte le relative scale intermedie e quindi tutta le possibilità di interazione geometrica e di accoppiamento su tutte queste scala ridotte. Per questo motivo, l’architettura tradizionale e primitiva presenta solo delle approssimazioni verso gli elementi diritti; essa è estremamente ben connessa, ed è fatta attraverso la definizione di elementi a piccola scala composti da elementi rettilinei.

 

L’accoppiamento delle residenze attraverso elementi intermedi

Nelle città moderne, le abitazioni sono collegate, attraverso le strade, ad un posto di lavoro, ad una scuola ed a negozi; ma non c’è nessun motivo geometrico affinché ogni casa sia prossima al proprio confine (ciò viola la regola 1 e la 2). Le abitazioni possono collegarsi l’un l’altra solo indirettamente, ovvero attraverso elementi complementari quali negozi di quartiere, strade circostanti o cortili comuni (regola 2). Gli elementi di connessione intermedi esistono su una scala differente, sebbene l’aumento progressivo alle differenti scale oggigiorno sia stato rimosso (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale). Anche se una casa è unita al relativo cortile — il che non avviene per la maggior parte delle case costruite durante il XX secolo — si sono, però, persi gli accoppiamenti di casa/cortile che risultano disgiunti.

Molta gente, tuttavia, ha confuso l’esigenza della riservatezza con l’isolamento geometrico.

Un tipico elemento della cultura europea unisce negozi ed alloggi in costruzioni su tre o quattro livelli, con gli appartamenti posti sopra i negozi. Lo spazio commerciale si contrappone e si accoppia con successo allo spazio residenziale (regola 1). Un uso troppo intenso dello spazio commerciale influenza in diversi modi lo spazio residenziale; un rapporto tra i due, compreso tra 1/2 ed 1/3, appare quello più adatto, convalidando le regole proposte (regola 6). Le città americane hanno utilizzato questo esempio di accoppiamento verticale fino ai 1940. Il punto è che le unità residenziali si uniscono indirettamente l’un l’altra attraverso le unità commerciali, il che non accade nelle odierne costruzioni residenziali strutturate su quattro livelli (regola 2). In opposto — la crescita della suddivisione all’interno delle torri-ufficio destinando i primi quattro piani inferiori ad usi residenziali — è il modo più rapido per portare via la vita dalle città.

Un’unione molto popolare in Inghilterra è quella che comprende una serie di 5/10 abitazioni, con un enorme terreno posteriore condiviso o un cortile privato, in modo tale che dette unità formano un tutt’uno attraverso gli spazi verdi (i quali hanno una estensione pari a circa tre volte quella dell’abitazione). Nel primo caso i bambini possono disporre di un miniparco libero dalle auto, anziché cortili più piccoli sul retro. Negli Stati Uniti questa soluzione è stata largamente adottata durante gli anni ‘20: una serie di abitazioni condividevano un enorme area verde frontale, la quale era curata dalle autorità cittadine. I gruppi di abitazione generavano una sorta di miniparco che aveva un proprio peculiare ordine urbano. Ad esempio vi erano abitazioni la cui trama generava piazze o strade a cul-de-sac. Fra le realizzazioni meglio riuscite di questo modello ricordiamo quello che sorgeva intorno ad un lago. Oggi, tuttavia, questi modelli di agglomerato casa/verde sono andati distrutti per mezzo di tagli fatti da arterie stradali, le quali non inducono unitarietà.

I percorsi pedonali, ortogonali alle strade locali, lasciano spazi fra le case (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani). Questi attraversamenti circondando queste unità, finiscono con il creare agglomerati residenziali sub-urbani. Oggi, i lotti si congiungono l’un l’altro attraverso tre lati; tuttavia, ricordiamo che le abitazioni più antiche hanno un utile vicolo posteriore, e attraversamenti tra piccoli gruppi di case. Un modulo urbano strutturato su ottantacinque unità abitative, insieme ad una area verde e a quattro elementi commerciali o di servizi amministrativi, divenne la base per la progettazione e lo sviluppo della città di Savannah in Georgia (Bacon, 1974). Ogni gruppo di cinque abitazioni fu definito da una strada di dintorno e da quattro costruzioni maggiori costruite attorno al parco. Questo modulo, che rispecchia le regole sistemiche, fu ripetuto parecchie volte prima di essere abbandonato per un’altra tipologia di elementi.

 

Una lezione dal terzo mondo

Possiamo imparare molte cose studiando lo sviluppo naturale del tessuto urbano che si presenta nelle favelas e negli insediamenti informali del Terzo mondo. Senza le restrizioni dalle ordinanze ufficiali di zoning o per effetto di una griglia rettangolare predefinita, la crescita si autogestisce e tende a seguire accuratamente le regole strutturali proprie di un sistema complesso (Lozano, 1990). Naturalmente, le condizioni di vita sono pessime, con una totale assenza delle più elementari regole igieniche, mancanza di acqua, di strutture amministrative, ecc. Tuttavia, al disotto di questo squallore e miseria vi si trova un esempio di ambiente urbano coerente. Un altro punto importante è che lo sviluppo della baraccopoli o di queste città indigene rispetta e segue la topografia naturale del suolo; cosa che nessuna altra forma urbana fa (Ribeiro, 1997). Idealmente desidereremmo aggiungere un certo (ma non troppo) ordine, attraverso allineamenti della maglia urbana, al modello della favela.

Uno sviluppo interessante delle forze urbane naturali è illustrato dall’influsso degli abitanti clandestini delle città coloniali del XIX secolo. In parti del Cairo, la gente aveva occupato con abitazioni i tetti piani delle costruzioni commerciali, sviluppando una città bidimensionale separata dallo squatter e costruita in cima a imponenti costruzioni. In questo caso vi è un accoppiamento verticale, ufficialmente misconosciuto, fra lo spazio commerciale e quello residenziale. Negli Stati del sud degli USA, i senzatetto abitano lo spazio posto al disotto delle sopraelevate: un accoppiamento verticale fra lo spazio di trasporto e quello residenziale. Poiché le forze che caratterizzano e muovono questi fenomeni non sono appieno comprese, questi ultimi non solo sono trattati con fastidio, ma restano spazi non coordinati. La spinta demografica, tuttavia, garantisce la loro continua esistenza. La maggior parte dei testi di urbanistica condannano le favelas perché rappresentano una massa “scomposta e disorganizzata”. Questi autori in realtà hanno compreso molto poco riguardo alla complessità degli aspetti tanto sul piano della forma che su quello della funzione e stanno rincorrendo la dichiarazione di guerra verso le forme urbane cumulative ed organiche, così come codificato da Le Corbusier nella Carta di Atene del 1933.

Si noti come la causalità, in termini scalari, espressa in una tipica favela fa sì che gli elementi posti alla piccola scala — quali le costruzioni — anticipino spesso la grande scala, la quale è definita tramite una rete stradale e di percorsi. Questa causalità risulta invertita nella progettazione canonica, dove l’infrastruttura è stabilita come elemento primario, mentre l’elemento secondario, rappresentato dalle abitazioni, segue successivamente. Si può osservare come anche nei sistemi ibridi rappresentati dagli barracopoli e dove l’autorità locale ha definito a priori una griglia rettangolare strutturata su strade ampie, la libertà degli abitanti a costruire si trasforma in una forma di coerenza organica tipica di quei sistemi lasciati crescere in modalità libera.

 

Stabilità e collegamenti emergenti

Non stiamo proponendo una modalità di architettura anarchica; anzi, l’opposto. I sistemi che si sviluppano in una modalità aleatoria, solo raramente sono guidati da una qualsivoglia forma di ordine, sia essa semplice, o complessa. Come negli organismi biologici, la complessità strutturale e funzionale risulta attentamente governata tanto dalla matrice genetica che dai delicati meccanismi regolatori basati su stati di equilibrio e di feedback. La rottura di queste regole conduce a patologie quali il cancro, o all’infruttuoso tentativo di riparare il sistema dopo una invasione da parte di agenti patogeni esterni. Ciò è l’elemento che distingue la città viva dalla favela: la prima ha un ulteriore corpus ordinativo capace di gestire incertezze che si verificano a posteriori senza, per questo, uccidere gli elementi vitali. Il punto è fare in modo che tali forze cooperino.

Le forze connettive agiscono sulla geometria urbana, guidandola verso una unica morfologia in ogni situazione particolare. Gli architetti, al fine di imporre il proprio ordine immaginario, hanno ignorato le vere forze che modellano l’ambiente. Queste azioni includono il proibire alla gente la creazione di percorsi diagonali e, anzi nella forzatura affinché preferiscano percorsi inappropriati (Gehl, 1987; Whyte, 1980). O lo scacciare i venditori ambulanti di cibo della strada o l’impedimento a costruire nuovi chioschi; ciò ignora l’esistenza di un’esigenza legata alla necessità di avere in quei luoghi tali componenti. Il disegno urbano contemporaneo aspira a preservare il suo look contrario alle forze urbane. Si tratta di una futile questione che tenta di impedire i naturali processi di auto-organizzazione. Queste forze lotteranno sempre contro ogni imposizione formale, con il risultato che una enorme quantità di energia sarà consumata per mantenere la trama imposta, impedendo l’emersione delle connessioni.

La nozione elementare di stabilità dei sistemi fisici sottolinea che gli stati di detti sistemi sono longevi soltanto se non devono essere aiutati: se la loro energia è tale che per tutti i piccoli ed inevitabili cambiamenti questo stato si rinforzi invece di subire alterazioni. Un sistema urbano dinamico è una struttura composta da un gran numero di collegamenti geometrici e funzionali alle differenti scale. Vi è un continuo processo di morte e rinascita. Questi processi, dipendenti dal tempo, sono in genere auto-sostenibili. Allo stesso modo, le costruzioni tradizionali che sono ben collegate all’interno del tessuto urbano finiscono con lo stabilizzare queste aree per effetto del loro disegno. Ciò non accade nelle costruzioni contemporanee, le quali non generano collegamenti: non riescono a generare ambienti a scala umana perché i progettisti non hanno compreso (o che hanno vanamente tentato di stravolgere) il senso attraverso cui le forme urbane naturalmente si evolvono.

 

La connessione dei moduli alla grande scala

La riuscita dei moduli alla grande scala è dovuta alla ricchezza e complessità interna, nonché dall’enorme numero di connessioni capaci di congiungere gli elementi urbani (Jacobs, 1961). Rammentiamo che se il contrasto è essenziale alla piccola scala, esso può divenire distruttivo alla grande scala (regola 4). Come discusso precedentemente, non è possibile contrapporre grandi aree, ognuna delle quali contrappone concentrazione di funzioni simili, lungo un’interfaccia retta. La substruttura deve comparire, favorendo la connessione e la transizione tra le differenti aree (regole 2 e 3), altrimenti un’area danneggerà l’altra. Molto dell’attuale ambiente costruito frappone, in modo repentino, due o tre aree omogenee ed a grande scala, le quali hanno funzioni differenti e ad alta densità: un edificio a torre per uffici costruito vicino ad una superstrada, una serie di negozi localizzati nei pressi di un enorme area di parcheggio, un’autostrada vicino ad abitazioni private, edifici ad alta densità abitativa costruiti vicino ad una ampia area verde. Questi archetipi dell’architettura contemporanea violano le regole 5 e 6.

Supponiamo di assemblare unità urbane complementari — diciamo, negozi, uffici, appartamenti, strade, percorsi pedonali, marciapiedi ed alberi — in un modulo (regola 1). Se questo modulo forma un’unità funzionale, esso dovrebbe essere accoppiato con qualcos’altro, allo stesso livello di scala, al fine di formare un’unità urbana ancora più grande. Si potrebbe inserire un edificio pubblico, un’azienda, un complesso sportivo, un hotel, o una piccola industria non inquinante. Neppure allora, potremmo riparare questo nuovo e più grande intero, ma preferibilmente provare a definire un più grande modulo complementare che contenga alcuni degli stessi ingredienti. Il punto saliente è quello di non ripetere alcuna unità monotonamente (regola 2), ma realizzare accoppiamenti a tutti i livelli di scala. Non c’è niente di male nel tentativo di riparare sub-unità relative ad un intero più grande, ma la ripetizione in se non genera connessioni: è il comune elemento di bordo che fa ciò (regola 3).

Una zona verde funzionerà soltanto se sarà internamente differenziata (Jacobs, 1961). I parchi meglio riusciti non sono mai uniformi, ma presentano sentieri pavimentati per passeggiate, ghiaietta, erba, cespugli coltivati, alberi, una componente selvatica. Porzioni alberate si lasciano attraversare da corridoi, stretti ed uniformi, aiutando a realizzare quella varietà necessaria a definire accoppiamenti interni. Gli ecologisti sostengono che piccole aree di verde selvatico forniscono quell’habitat urbano minimo per una certa fauna selvatica (Van der Ryn e Cowan, 1996). Un grande parco urbano, tuttavia, è sicuro soltanto quando è visitato di frequente (Jacobs, 1961; Whyte, 1980). È necessario connetterlo al tutto attraverso bordi commerciali e residenziali, preferibilmente non attraversati da una strada. Un bordo continuo e popolato fornisce più sicurezza ad una zona verde durante gran parte del giorno. La città può connettere i grandi parchi urbani per mezzo di elementi urbani e delle loro vie di collegamento, e stabilendo delle strisce popolate che taglino verso il centro.

 

Conclusione

Diversi suggerimenti sono stati dati che, se applicati, potrebbero migliorare drasticamente la coerenza del tessuto urbano. Le proposte formulate sono state basate sulle regole di coerenza geometrica derivate dalla teoria dei sistemi complessi. Questi risultati sono utili perché rinforzano quelle soluzioni urbane che funzionano spontaneamente, mentre invalidano le strausate e distruttive metodologie dell’urbanistica moderna e contemporanea. Dai 1940 i pianificatori e gli urbanisti hanno seguito regole il cui effetto è stato quello di tranciare le interconnessioni sul corto raggio d’azione. Una fondamentale mistificazione della geometria urbana ha condotto alla segregazione delle funzioni, che ora si è trasformata in un’ossessione. Di conseguenza, la città moderna è stata intenzionalmente disconnessa: in termini matematici, essa è aleatoria. Le attività commerciali sono state staccate da quelle residenziali, dando vita porzioni suburbane interamente costituite da case isolate e da prati ornamentali. Allo stesso tempo, le unità residenziali sono state strappate via dalle aree commerciali dei centri storici, producendo centri dove non vi è vita notturna. Si è pensato che l’allineamento e la ripetizione di unità identiche avrebbe connesso le stesse, ma ciò non è accaduto. L’attuazione delle regole esposte nel presente scritto può risolvere molti problemi del disegno urbano, o almeno condurre ad una maggiore comprensione dello stesso.

 

Prima pubblicazione in Journal of Urban Design, volume 5, 2000, 291-316.

Le ricerche dell’autore sono sostenute in parte da una concessione dalla fondazione Alfred P. Sloan. Le idee di Christopher Alexander hanno influenzato questo scritto in misura notevole e sono riconoscente a Debora Tejada per i suoi suggerimenti. Traduzione: Antonio Caperna.

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