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Nikos Salingaros sulla struttura urbana #4 L’architettura informatica delle città

Giovedì 22 Maggio 2014 08:11  |  Teoria  |  

di L. Andrew Coward e Nikos A. Salìngaros

Le città possono essere considerate sistemi di architetture della informatica. In questo contesto il termine “architettura” è utilizzato nel senso di architettura del software — non si riferisce tanto al progetto di edifici, quanto all’interazione dei componenti di un sistema complesso. Lo scambio d’informazioni comprende il movimento di persone e beni, i contatti e le interazioni fra persone, le telecomunicazioni, come gli input visivi provenienti dall’ambiente esterno. Le reti di informazioni forniscono una base per comprendere le città viventi e per identificare i problemi urbani. Questo Capitolo sostiene che il funzionamento di una città è più simile a quello del cervello umano che a quello di un computer elettronico. Come sistema funzionalmente complesso, la città definisce euristicamente la propria funzionalità attraverso i mutamenti delle connessioni in modo da ottimizzare le modalità di interazione dei propri componenti. Una città efficiente corrisponderà ad un’architettura di sistema in grado di rispondere a condizioni mutevoli. Questa analisi sposta il centro della conoscenza delle città dalla loro struttura fisica al flusso delle informazioni.

 

Introduzione

Le città coordinano le attività esistenti tra numerosi esseri umani la cui realizzazione richiede complessi modelli di cooperazione. Questo compito, inoltre, deve esser svolto in condizioni di continuo mutamento delle attività. Obiettivi antitetici sono tra loro in concorrenza. Un obiettivo è quello di ottimizzare l’efficienza dei modelli di scambio più appropriati alla situazione contingente, stabilizzando le infrastrutture e i percorsi di informazione. Un altro obiettivo è di lasciare ogni cosa al di sotto del livello ottimale consentendo tuttavia estrema adattabilità in rapporto all’imprevedibilità delle condizioni. Un altro ancora è di imporre un “hardware” (ad es. edifici e strade) ad una città che non raggiunge nessuno dei due precedenti obiettivi.

Come esempio di confronto nel lungo periodo tra città specializzate e città adattive, Jane Jacobs (Jacobs, 1961) contrappone una città statica come la Manchester del diciannovesimo secolo con una città dinamica come Birmingham in Inghilterra. Manchester primeggiò nell’industria del cotone, ma s’indebolì di fronte alla concorrenza esterna. D’altra parte, non si è mai potuto puntare su una sola industria perché Birmingham potesse sopravvivere; piuttosto la sua capacità è consistita nella creazione di nuove industrie in risposta al cambiamento delle condizioni.

Una città specializzata che funziona efficientemente può essere paragonata a un sistema elettronico che funziona in tempo reale, nel senso che la sua funzionalità è decisa preventivamente ed è definita in ogni dettaglio. Qualsiasi cambio funzionale di un sistema elettronico deve essere progettato tenendo conto di ogni possibile conseguenza. Ciò richiede verifiche su vasta scala prima dell’implementazione onde evitare indesiderati effetti collaterali. Per sistemi come le città e i cervelli naturali, tuttavia, il cambiamento è in buona misura euristico (ad es. appreso dallo stesso sistema in risposta all’esperienza). Molti altri sistemi naturali ed artificiali funzionano coordinando una complessa associazione di funzioni mutevoli.

Questo contributo esplora i nodi, le connessioni urbane e le loro interazioni e rappresenta il seguito di un precedente scritto (si veda Capitolo 1: Teoria della rete urbana). Rientra tra quei tentativi recentemente intrapresi di pensare le città come sistemi complessi, tra i quali annoveriamo quelli di Peter Allen (Allen, 1997), di JuvalPortugali (Portugali, 2000), e dei loro collaboratori. Jane Jacobs (Jacobs, 1961)], Richard Meier (Meier, 1962), e Christopher Alexander (Alexander, 1965) sono stati i pionieri nella comprensione della struttura della città complessa, studiando e descrivendo la forma urbana in modi più realistici rispetto alla semplicistica geometria spaziale del modello del CIAM (CongrèsInternationaux d'Architecture Moderne) (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città). Ci si aspetta di individuare quali siano i processi per mezzo dei quali una città vivente si sviluppa e una città malata decade.

Il modello della città è dinamico e si sviluppa euristicamente. Gli urbanisti hanno bisogno di sviluppare un processo di diagnosi e riparazione del tessuto urbano, così come il tessuto biologico richiede meccanismi specifici per ristabilirsi. Mentre questa discussione presenterà dei caratteri piuttosto generali, emerge un’idea chiara dell’identità di una città e dei supporti necessari al suo corretto funzionamento. Dei segnali emergono dalla nostra concezione di città come sistema complesso e organizzato. Non possiamo negare che quelle proposte siano diametralmente opposte all’approccio alla progettazione del CIAM che fu adottato nel dopoguerra, approccio che ha impedito sino ad oggi la loro attuazione.

Ci si augura che le conclusioni qui proposte offrano una spinta indispensabile a quelle interpretazioni più datate che si ritiene siano corrette e avvedute.

 

Pensare la città come sistema

L’adattabilità, o la necessità di cambiare funzionalità, forza un sistema complesso ad essere modulare a diversi livelli di scala (Coward, 2000). Seguendo l’esempio dei sistemi elettronici, i “moduli” sono definiti come gruppi di attività che hanno maggiori scambi d’informazioni all’interno del modulo piuttosto che con altri moduli (Courtois, 1985; Parnas, Clements e Weiss, 1985). In una città, un modulo funzionale al più piccolo livello di scala potrebbe identificare una persona attraverso gli edifici e gli spazi in cui essa trascorre la maggior parte del suo tempo. Ad un livello in un certo senso più elevato, i moduli possono comprendere piccoli gruppi di persone che ogni giorno interagiscono strettamente con diversi nodi urbani. Ad un livello ancora più elevato, i moduli corrispondono approssimativamente con le istituzioni, le singole imprese, le organizzazioni educative e politiche, ecc…

La modularità è solo un’approssimazione, in quanto la funzione di una città può trovarsi in parte in un modulo identificabile, ma alcuni suoi elementi si troveranno certamente in altri moduli. È importante sottolineare che l’uso del termine “modulo” tende più verso il termine “rete”, che verso un oggetto o un’area fisicamente identificabili e delimitati. Questo contributo rischia di essere frainteso se il lettore immagina impropriamente un modulo funzionale come modulo fisico — ad esempio un edificio. I nostri moduli comprendono modelli d’interattività distribuiti nello spazio, dove le azioni che si verificano in posti differenti possono tra loro comunicare. Si tratta certamente di gruppi di legami strutturati, perciò la loro visualizzazione non deve coincidere con l’immagine fuorviante della città del ventesimo secolo fatta di entità spaziali non interagenti e rigidamente posizionate su di un regolare reticolo.

Le reti di una città — percorsi, strade, telecomunicazioni, ecc… — sono i meccanismi che sostengono lo scambio di informazioni. Ciononostante, una città elabora le informazioni piuttosto che semplicemente trasferirle. Uno scambio complesso di informazioni coordina le funzioni della città, ne guida le dinamiche, e determina la sua evoluzione strutturale (Meier, 1962). Lo scambio di informazioni al più piccolo livello di scala comprende conversazioni, osservazioni e manifestazioni dei singoli individui. Ad un livello più alto persone e gruppi di persone passano da una funzione ad un’altra. I beni materiali vengono spostati, consumati, trasformati, associati e creati in una città. Lo scambio di informazioni è molto più economico che lo spostamento di beni e persone, di conseguenza una città deve coordinare efficientemente diversi scambi ottenuti a costi diversi.

Un sistema ha bisogno di minimizzare il costo totale dello scambio di informazioni. L’analisi di una città come sistema comincia quindi con l’identificazione di gruppi di persone che scambiano più informazioni all’interno del gruppo piuttosto che con elementi ad esso esterni. I moduli a qualsiasi livello non possono essere identificati cognitivamente in anticipo, e certamente non attraverso qualche particolare distribuzione spaziale. I moduli della città in generale non corrispondono a funzioni urbane semplici. Bisogna valutare la struttura urbana abbandonando una classificazione rigidamente visiva basata su viste aeree, e seguendo invece il flusso di informazioni. Concentrandosi sull’evoluzione delle informazioni e sulle reti del movimento, l’intervento sarà mirato piuttosto a rafforzare la funzionalità urbana attraverso una maggiore efficacia dello scambio di informazioni (attraverso mezzi che includono l’alterazione della struttura fisica). Si cercherà di pensare una città fondata sulle sue reti di scambio d’informazioni piuttosto che il suo aspetto su pianta.

Prima ancora di definire i moduli urbani, un metodo per migliorare la funzionalità della città è quello di assicurare che ognuno dei suoi canali consenta uno scambio multiplo di informazioni. Questo significa che un trasferimento d’informazioni o un movimento fisico consente di svolgere più di una singola attività — più connessioni possono quindi organizzarsi nella città perché i suoi percorsi aiutano le persone a svolgere contemporaneamente molti compiti diversi. La gente che si muove lungo tali percorsi con lo scopo di scambiare informazioni di più alto livello, può quindi effettuare anche scambi d’informazioni di livello più basso (ad es. osservare). Il tempo richiesto per lo scambio di livello alto è quindi utilizzato in maniera più efficiente.

Tecnicamente parlando, stiamo proponendo un carico frattale, che implica la coesistenza di cose differenti ma relazionate a diversi livelli di scala. Il carico frattale significa che ogni scambio di livello elevato porta con sé scambi simultanei a molti livelli inferiori. Ciò è in antitesi con la volontà di massimizzare la capacità di canali uniformi di comunicazione, rivolti a un solo tipo di scambio. Blocchi di scambi a diversi livelli di scala dovrebbero pertanto essere sostenuti da un’infrastruttura fisica che permetta scambi di informazioni miste, e che non permetta ad altri scambi in concorrenza di estromettere gli scambi più deboli o di livello inferiore. Il caso opposto di progettazione monofunzionale convoglia forzatamente molti scambi dello stesso tipo, separati e fra loro in concorrenza, in un unico canale di comunicazione. Un esempio di quest’ultimo caso è un’autostrada intasata, o il sovraccarico dei sottopassaggi carrabili nell’ora di punta. Tutto ciò non solo è inefficiente, ma esclude altri tipi di scambi.

Dimostriamo un esempio di carico frattale (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione). L’uso dello spazio urbano è legato al campo di informazioni derivanti dalle superfici circostanti, e alla facilità con cui le informazioni possono essere ricevute dai pedoni. Uno scambio primario di informazioni è un pedone che va da un punto ad un altro. Egli osserva cose che non sono relazionate alla causa primaria del suo movimento. Questa informazione è funzionale; essa può suggerire comportamenti secondari all’osservatore che sta eseguendo uno scambio primario di informazioni. In una città felice anche i semplici spostamenti sono esperienze ricche e gratificanti. Lo spazio urbano pertanto funziona violando la regola “funzionalista” propria della progettazione del ventesimo secolo. Una geometria urbana vincente è al servizio di una moltitudine di bisogni su scale diverse; alcuni strettamente funzionali e altri piacevoli.

Dirigersi a piedi ad un appuntamento in una capitale europea (in realtà, nella maggior parte delle città del mondo) può essere più piacevole che andarci con un mezzo in un’area metropolitana del Nord America. Nel primo caso, si incrociano altre persone, con alcune delle quali si vorrebbe probabilmente conversare; osservarne altre può fornire delle indicazioni su attività o interazioni sociali; l’esposizione della merce nelle vetrine fornisce informazioni sulla disponibilità di prodotti e servizi, ecc… Naturalmente, stiamo tralasciando i fattori negativi che potrebbero interferire con uno scambio efficace di informazioni, come la criminalità, le avversità atmosferiche, o il sovraffollamento. I conducenti di veicoli sono soggetti a informazioni non richieste provenienti dai tabelloni pubblicitari, mentre scelgono di ricevere informazioni sonore dalla musica, da notiziari o da conversazioni alla radio, o chiacchierando al cellulare. Lo scambio primario è caricato da informazioni secondarie (richieste o meno).

Il “carico frattale” ha la caratteristica fondamentale che, pur rimuovendo il livello più grande di scala, tutti gli altri livelli più piccoli restano intatti. Senza dover svolgere una precisa commissione, il gironzolare senza meta in città ricche di informazioni consente al visitatore di accettare i segnali provenienti da diversi contesti visivi, e di scoprire i risultati di tali movimenti. È così possibile apprendere il “linguaggio visivo” ricco e complesso di una città sconosciuta che nel corso dei secoli è gradualmente cambiata. Al contrario, in un ambiente deterministico non-frattale che manca di tutti i livelli più piccoli di scala, se non è necessario recarsi in qualche luogo, si eviterà certamente di farlo: ogni movimento è solo un lavoro di routine, senza nulla di nuovo da apprendere. Questa discussione riafferma l’importanza di disporre di una varietà di scambi d’informazioni grazie al movimento fisico.

 

Le città e l’ottimizzazione dello scambio di informazioni

Il principio di ottimizzazione permette lo scambio di un numero massimo di informazioni col minimo sforzo. Il costo dello scambio di informazioni nella maggior parte delle attività urbane è tristemente sottostimato. Un viaggio di mezz’ora ha un costo ed un valore. Quanti scambi di informazioni di una certa importanza avvengono? Si assiste ad una molteplicità di comportamenti?Si incontrano persone che si vogliono influenzare? Una città sarebbe più efficiente se la gente vedesse in maniera più diretta cosa si sta realmente verificando? I costi effettivi sono spesso dissimulati, perché sono computati solo per la parte “utile” del viaggio. Si noti il compromesso dei centri commerciali — mentre minimizzano i costi dello scambio di informazioni relativo agli acquisti, creano costi eccessivi per i trasporti.

Le reti delle informazioni non possiedono una geometria spaziale localizzata, perciò non si adattano efficacemente ad un modulo spaziale. Esse sono e saranno sempre in contrasto con una città che è forzata in un semplicistico progetto visivo. E tuttavia le reti delle informazioni sono ciò che rende viva una città. È sicuramente poco pratico progettare le reti delle informazioni di una grande città in anticipo, e in ogni caso, dato che le funzioni di una città si evolvono, è vitale che essa abbia la capacità di svilupparsi euristicamente in modo da ottimizzare lo scambio di informazioni. Nessuna autorità sarà in grado di anticipare e gestire questo sviluppo ad ogni livello di dettaglio (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città).

Consideriamo, ad esempio, il processo secondo il quale si prendono decisioni per investire in una nuova attività commerciale. Tali decisioni richiedono coordinazione tra le future direzioni tecnologiche, le richieste del mercato, le risorse finanziarie e quelle commerciali. Questa conoscenza sarà distribuita tra molte reti cittadine. Una città dotata di un efficiente scambio di informazioni della tipologia richiesta, sarà più efficiente nel creare nuove attività commerciali rispetto ad una che ne è priva. Esiste tuttavia sempre un conflitto tra i bisogni di scambio di informazioni delle diverse funzioni urbane. Idealmente, il risultato sarà un compromesso che permetterà a tutte le funzioni di operare efficacemente. Devono esserci anche meccanismi per modificare questo compromesso nel momento in cui le necessità funzionali cambino. Noi proponiamo un cambio drastico nei processi di ottimizzazione utilizzati nella progettazione: invece di ottimizzare le connessioni di canali singoli tra nodi spaziali monofunzionali, noi sosteniamo di ottimizzare lo scambio complessivo di informazioni in una città.

Le funzioni di un modulo di livello intermedio come può essere un ristorante comprendono la preparazione di pasti a partire da cibi crudi, la distribuzione di cibo pronto da asporto, la creazione di un luogo di aggregazione sociale che la gente può frequentare per osservare mode e comportamenti altrui, la creazione di un centro sociale di comunicazione, la presentazione di convegni aziendali o seminari di politica, ecc… Questo modulo è compreso all’interno dell’edificio che ospita il ristorante, che è a sua volta compreso in un modulo di reti più grande. Alcuni ristoranti diventano punti focali per lo scambio di informazioni in una città — spesso identificati con una particolare attività commerciale in una vasta area metropolitana, oppure il ristorante è un nodo importante nelle reti sociale e amministrativa di una piccola città. Un modulo più grande che comprende modelli spaziali di attività siti nel quartiere comprende il ristorante come sottomodulo.

I nodi che non fanno parte di un modulo più ampio sono spesso parassitari nei confronti della città, poiché usano le infrastrutture senza contribuire ad una coerenza funzionale globale. D’altronde questo è il modo in cui vengono costruiti al giorno d’oggi la maggior parte degli edifici adibiti a ristoranti, negozi, supermercati e uffici. Completamente circondati da un parcheggio isolato, sono progettati per essere costruiti in mezzo al nulla, costretti tuttavia nel tessuto urbano all’interno del quale creano delle fratture. I ristoranti progettati per funzionare come posti di ristoro nelle autostrade vengono continuamente eretti nelle città, senza naturalmente farne parte. Le persone che lavorano in un edificio vicino adibito ad uffici, che potrebbe fornire clientela per l’ora di pranzo, devono guidare l’automobile su vie trafficate per raggiungere un ristorante che è letteralmente dietro l’angolo.

Gli urbanisti negli ultimi decenni hanno adottato perlopiù tipologie urbane che sono essenzialmente anti-urbane. Ogni edificio ignora il suo contesto locale e cerca di essere indipendente da OGNI contesto. Questo è realmente un tentativo imposto dall’alto di ridurre la complessità dovuta ad adattamenti locali, una strategia che superficialmente sembra tagliare i costi, ma che in realtà ne aumenta quelli a lungo termine. Questo approccio di corporazione che consiste nella riduzione dei costi in nome di “una misura va bene per tutte” è causato dal desiderio di connettere un nodo all’intera città, senza concedere trattamenti preferenziali al tessuto urbano adiacente. Non solo le connessioni locali non ricevono alcuna considerazione; esse sono esplicitamente escluse, rendendo impossibile relazionarle agli edifici del quartiere. Ci si aspetta ingenuamente che un nuovo edificio si relazioni istantaneamente all’intera città, ignorandone del tutto i costi proibitivi di trasporto. Questo approccio, tuttavia, riflette semplicemente la filosofia modernista di progettazione — nessuna concessione all’ambiente circostante, che significa nessuna connessione locale.

Separare ingenuamente le aree residenziali da quelle commerciali crea seri problemi. Per prima cosa, ogni scambio di informazioni tra queste funzioni avrà un costo elevato. In secondo luogo, esistono pochi sbocchi per moduli a rete che hanno funzioni necessarie, ma nessuna struttura o luogo fisico per contenerli (in contrasto, diciamo, ad un ristorante). Vogliamo enfatizzare che per la città la rete ha un’importanza differenziata dalla forma spaziale urbana. Non è sufficiente erigere semplicemente appartamenti accanto ad uffici. I moduli funzionali devono essere progettati anticipatamente, o la geometria della connettività deve esser tale da consentirne la nascita spontanea (irrealizzabile con i regolamenti modernisti basati sulla zonizzazione). I passaggi pedonali, i piani per i parcheggi e la vicinanza ad altri luoghi sono tutti fattori che influiscono sull’efficacia dello scambio delle informazioni in ogni nuovo modulo. Una particolare unità urbana deve integrarsi nello spazio urbano globale; non solo in termini spaziali, ma anche in termini di scambio di informazioni con i quartieri e con il resto della città.

 

Diverse tipologie di complessità

Molti sistemi sono detti complessi, ed è importante riconoscere le differenze principali che esistono tra diverse tipologie di complessità. Utilizzando le analogie informatiche di HARDWARE e SOFTWARE, individuiamo due categorie principali di complessità. Un sistema fisicamente semplice contiene in generale poche tipologie di componenti e presenta tutti i componenti appartenenti ad una certa tipologia identici. La semplicità fisica è la conseguenza del fatto che i componenti sono tra loro interscambiabili. La complessità sorge solo quando questi componenti interagiscono. L’interazione tra due componenti qualsiasi dipende essenzialmente dalle tipologie di componenti e dalla distanza che tra loro sussiste. La complessità in questo caso deriva dalle numerosissime connessioni latenti che, tra molti componenti identici, rientrano esattamente nella stessa tipologia. La topologia combinatoria che presuppone la connessione reciproca di ogni unità identica genera un numero enorme di connessioni. Poiché ogni sistema funziona secondo le proprie connessioni, il ricorso all’analogia su menzionata qualifica questa tipologia di sistema come software complesso.

D’altra parte, in un sistema in cui l’hardware è complesso, anche se potrebbero esistere tipologie di componenti diversi, quelli della stessa tipologia sono simili ma non identici. L’interazione tra ogni coppia di componenti è in generale unica per quella specifica coppia. Abbiamo quindi molte connessioni, ma ognuna è identificabile e distinta. In questo caso si favorisce che i componenti formino tra loro connessioni diverse in maniera differente. Poiché tutti i componenti sono unici, sono indispensabili solo quelle connessioni utili per il funzionamento del sistema. Il numero totale di connessioni è drasticamente ridotto rispetto al sistema precedente, che doveva fornire ogni connessione teoricamente possibile tra componenti identici, proprio perché i suoi componenti non erano né unici né identificabili.

Lo stato di partenza di un sistema fisico o economico corrisponde a quelle condizioni iniziali alle quali ha inizio un processo dinamico. In un contesto urbano, lo stato di partenza è la condizione di una città in un dato momento del passato, e ci interessa osservare se la città resti in buono stato, o se nella sua evoluzione, sviluppi problemi insolubili. Le due diverse tipologie di complessità implicano proprietà e comportamenti di sistemi drasticamente diversi. In un sistema complesso che funziona in maniera più simile ad un software complesso, stati di partenza leggermente diversi possono dar origine a risultati finali completamente diversi. Questo è definito comportamento “caotico”. (Il comportamento caotico è osservabile in molti sistemi in fisica, biologia, economia, ecc, e spiega la difficoltà di fare previsioni atmosferiche. I lettori avvezzi alla divulgazione scientifica riconoscono la sensibile dipendenza dalle condizioni iniziali come “L’Effetto Farfalla”, per cui una farfalla in Brasile può causare una perturbazione piccola in maniera infinitesimale, in grado ciononostante di influenzare a distanza di molto tempo il sistema atmosferico in Europa  (Gleick, 1987)).

In un sistema complesso che è più simile ad un hardware complesso, punti di partenza leggermente diversi tenderanno a produrre punti finali simili (ad es. condizioni con input simili dovrebbero generare comportamenti simili). La parziale insensibilità alla variabilità di input garantisce la stabilità — definita “omeostasi” nei sistemi viventi, che sono strutturalmente complessi in virtù dei meccanismi morfogenetici che generano, all’interno della stessa tipologia, entità sempre distinte. La convergenza su appropriati punti finali viene raggiunta con il controllo della variabilità a livello di sistema.

La combinazione di entrambe le tipologie di struttura complessa e funzionalità caratterizzano le città viventi. Un punto fondamentale è che una città vivente oltrepassa una certa “soglia di complessità”, al di sotto della quale essa è morta e sterile. Incredibilmente, gli urbanisti modernisti hanno creato deliberatamente queste città morte, o su aree verdi, o al di fuori del tessuto urbano precedentemente vitale. Le analogie basate sulla complessità fisica che dipende da componenti ed interazioni identici possono essere fuorvianti. Un sistema complesso stabile è caratterizzato da componenti unici che interagiscono in diversi modi. Presenta, tuttavia, un aspetto di disordine fisico, se osservato a livello diagrammatico. Pensare la città tradizionale come un complesso indesiderabile nella sua forma fisica ha indotto erroneamente gli urbanisti a ritenere che rimuovere la parte visibile della complessità avrebbe risolto i problemi urbani. Questa idea si basa su di un grave errore di comprensione dell’architettura dei sistemi. La città modernista — che comprende unità identiche che interagiscono nello stesso modo, è problematica. La complessità ingestibile nel senso di complessità del software è inevitabile per motivi sistemici, malgrado l’aspetto visivo di “ordine” imposto dalla geometria regolare.

Esempi concreti di questo errore sono descritti da Jane Jacobs (Jacobs, 1961)]. Gli urbanisti, osservando le foto aeree di tessuti urbani vitali, li hanno trovati visivamente complessi ed hanno deciso di sostituirli con grandi edifici residenziali sviluppati in altezza, che sul progetto sembrano ben proporzionati. In questo modo hanno ucciso la vita urbana in quell’area — e non hanno mai neanche riconosciuto il loro errore. Lo stesso errore ha prodotto azioni di violenza sul sistema urbano come quelle di far passare le superstrade attraverso i centri storici. È sembrato un modo semplice e diretto a livello visivo per connettere in maniera efficiente le strade, sia pur completamente ignorando la fondamentale complessità della città. La rete stradale deve adattarsi — piuttosto che distruggere o sostituire — alla rete dello scambio delle informazioni che dà forza a una città vitale e compatta. Dovremmo aspettarci che comprendere anche in maniera rudimentale la complessità dei sistemi è un prerequisito per qualsiasi futura decisione in campo urbanistico.

 

I sistemi e la decomposizione modulare.

I sistemi complessi costituiscono entità funzionanti e coerenti che non si possono completamente separare in moduli del tutto indipendenti. Una struttura che può essere facilmente separata in componenti non interagenti non è un sistema complesso, piuttosto un’aggregazione di unità (definita nella teoria dei sistemi un “cumulo”). Si ricorre largamente sia per la progettazione di sistemi artificiali, sia per la comprensione dei sistemi naturali ad una separazione concettuale in moduli aventi un certo grado di interazione. I moduli sono definiti come gruppi di attività che interagiscono più verso l’interno del modulo che verso l’esterno. Herbert Simon (Simon, 1969) ha sostenuto che potrebbero esistere pochissime separazioni non equivalenti di un sistema nei suoi componenti, che avrebbero senso in quanto identificano differenti sottosistemi (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città).

I sistemi guidati dallo scambio di informazioni, sia naturali che artificiali, distribuiscono la loro complessità tra l’hardware e il software. Ogni sistema funzionalmente complesso è forzato in una gerarchia di moduli funzionali per due ragioni (Coward, 2000; 2001). La prima è che è sempre vantaggioso minimizzare il volume delle informazioni (di progetto o genetiche) richieste per costruire il sistema. Di conseguenza questi sistemi tendono a contenere un numero relativamente piccolo di componenti appartenenti a tipologie fondamentalmente diverse. Il sistema sarà formato a partire da molte delle varie tipologie fondamentali, con variazioni relativamente piccole all’interno di ogni tipologia.

La seconda ragione che spiega una struttura di tipo gerarchico è che qualsiasi sistema ha bisogno di risolvere i problemi, e di realizzare dei cambiamenti funzionali che non distruggono la funzionalità esistente. La conoscenza di un problema da risolvere, o un cambiamento funzionale da attuare, esiste generalmente a un livello piuttosto alto del sistema (ad es. una caratteristica dell’intero sistema non funziona propriamente; un’area della città è in declino). Tuttavia le azioni necessarie devono essere prese ad un livello gerarchico molto più basso (ad es. sostituire uno specifico gruppo di transistor; realizzare investimenti e azioni di controllo). Si devono trovare e seguire percorsi logici che connettano le condizioni di alto livello con le azioni specifiche che sono l’origine di questi segnali. Le connessioni che in un sistema collegano i livelli più alti con quelli più bassi, contribuiscono a definire una gerarchia. Queste sono le forze che portano alla modularizzazione; procediamo ora ad esaminare secondo quali modalità i moduli vengono definiti.

Lo scambio delle informazioni esterne tra moduli diversi deve essere minimizzato quanto più possibile, e l’attività prevalentemente (ma non interamente) compresa all’interno dei moduli stessi. Tutti i moduli sullo stesso livello di scala devono essere approssimativamente uguali in termini di numeri di operazioni dei componenti primari che ogni modulo comprende. Se un modulo fosse di gran lunga più grande degli altri, allora il percorso più logico passerebbe attraverso quel modulo, il che comporterebbe una centralizzazione anziché una distribuzione delle funzioni. La maggior parte delle città ha una regione centrale, che è caratterizzata da un picco nell’occupazione e nella densità del traffico, ma le città più grandi sono anche policentriche.

Una lezione importante che deriva dai sistemi informatici è la separazione hardware/software. La decomposizione modulare nei software, così come accade con gli “oggetti” e i “pattern”, funziona interamente nello spazio astratto in cui il programma viene eseguito. Questo è del tutto indipendente dalla struttura fisica dell’hardware del computer. Esattamente allo stesso modo, una città funziona all’interno di due spazi distinti: la rete dello scambio delle informazioni e lo spazio diverso delle strutture fisiche. Noi stiamo applicando la decomposizione modulare al primo spazio, non al secondo.

Uno scambio delle informazioni molto esteso tra due moduli preclude la loro efficace separazione finalizzata a tracciare percorsi logici. I moduli sono separati affinché lo scambio delle informazioni sia minimizzato, corrispondendo all’idea di Courtois (Courtois, 1985) secondo cui l’unione tra moduli — l’interfaccia — sarà vincente solo se avviene in una regione che è più “debole” di ogni singola connessione interna al modulo. Nessun pregiudizio, come quello di un preciso ordine spaziale, può mai determinare la partizione in moduli funzionali (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città). Definire i moduli attraverso questo processo di “trovare un compromesso tra differenti percorsi di scambio delle informazioni” implica che tali moduli possano avere una geometria molto complessa. Il ricorso a tali regole generali finalizzate alla formazione di moduli fornisce delle linee guida per far nascere un tessuto urbano sano.

La separazione geografica del luogo di residenza dal luogo di lavoro (rafforzata dalla zonizzazione monofunzionale del dopoguerra) è un caso calzante. Dato che queste due aree urbane — da un lato i condomini o i complessi di abitazioni suburbane, dall’altro lato le torri per uffici — interagiscono tra di loro in maniera così forte come se fossero un tutto unico, esse NON definiscono moduli funzionali separati, nonostante le semplicistiche aspettative dovute al raggruppamento spaziale. La geometria al contrario forza la formazione funzionale di moduli appartenenti alle tipologie più importune, con uno scambio delle informazioni che è molto dispendioso da mantenere per via delle lunghe connessioni (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani e Capitolo 5: Note sulla composizione della città). I moduli che si formano sono troppo deboli, e sono soggetti a connessioni per il trasporto eccessivamente estese, mentre mancano di coesione interna.

Un altro problema con questo esempio è che non c’è un modo semplice di formare moduli di dimensione intermedia. Una gerarchia stabile di moduli diversi che s’incastra in moduli più grandi non potrà mai svilupparsi in una regione urbana monofunzionale; tuttavia noi sappiamo che questa è una caratteristica fondamentale di qualsiasi sistema complesso che funzioni. Il nucleo familiare e le sue connessioni più strette definiscono il modulo più piccolo che comprende il lavoro, le scuole, gli uffici e i supermarket. Nella maggioranza dei casi, non esiste alcun modulo successivo più grande che comprenda questo modulo elementare — si salta immediatamente dal nucleo familiare all’intera città. Questa mancanza di gerarchia è patologica dal punto di vista sistemico. Da un punto di vista sociale, il declino della geometria urbana contemporanea si riflette nel fatto che oggi gli individui non appartengono a nessun particolare quartiere o regione.

Gli edifici a molti piani degli uffici e i “parchi ufficio” orizzontali non costituiscono dei moduli funzionali. È significativo che ci sia scarsissima o nessuna interazione tra i diversi uffici situati nello stesso edificio o “parco”, rispetto allo scambio che interviene tra ogni singolo ufficio e la sede centrale, le filiali, i clienti, i fornitori, le banche, ecc… Questa analisi elementare invalida l’utilità della tipologia urbana sia degli edifici per uffici sia dei “parchi ufficio”, nonostante recentemente si siano molto diffusi. Per motivi simili una regione costituita da abitazioni suburbane non è un modulo funzionale (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città). La creazione di palazzi per uffici e di complessi di case suburbane rende molto alto il costo di ogni normale scambio funzionale (o impone l’isolamento sistemico). Questa è la forza sistemica che sostiene le osservazioni di Jane Jacobs (Jacobs, 1961), secondo cui i quartieri urbani felici sono sempre polifunzionali.

 

L’insidiadellestrategie plug-and-play

La riutilizzabilità dei moduli dà ai progettisti un’erronea comprensione dei sistemi. Le strategie plug&play nei progetti modulari offrono la possibilità di sostituire un modulo che non funziona correttamente, o che viene soppiantato da uno migliore. Questo permette anche di aggiungere un modulo senza dover adeguare l’intero sistema. Un modulo al contrario può essere rimosso quando non necessario, senza richiedere una completa riorganizzazione. I moduli complessi di tipo “plug-in” sono divenuti popolari nell’hardware militare durante la seconda guerra mondiale. Il risparmio di tempo che derivava dall’abilità di riparare velocemente un meccanismo complesso invece di individuare e riparare uno dei componenti interni al modulo, non ha tenuto conto del costo più elevato di sostituzione di un modulo. L’industria informatica ha ereditato la stessa mentalità, con moduli usa e getta come standard dell’attuale hardware. Tutto ciò dipende da un’interfaccia che permette ai moduli di connettersi facilmente al sistema.

Un’applicazione riuscita di questa strategia è lo sviluppo di un’interfaccia standard per connettere i componenti di un computer, come hard disk esterni, tastiere, monitor, ecc… Questi connettori standard consentono la rapida trasmissione di una grande quantità di dati tra i moduli hardware. Si raggiunge la standardizzazione ponendo dei limiti alle interfacce permesse, il che comporta la semplificazione dei protocolli dello scambio delle informazioni. E questo, a sua volta, permette l’interscambiabilità dei moduli.

Queste potenzialità del plug&play possono essere tuttavia fuorvianti. In molti esempi di modularizzazione forzata di complessi sistemi informatici, il guadagno netto è stato minimo o nullo, in quanto si è raggiunta la modularizzazione mutando la complessità del sistema dall’hardware al software. Rispetto al fortunato esempio su menzionato, reso possibile da una semplificazione dei protocolli per lo scambio delle informazioni, spesso la semplificazione dell’hardware implica che la complessità del sistema sia trasferita sul software. Questo significa che la semplificazione funzionale dell’hardware trasferisce la maggior parte della complessità funzionale nel software. In quei casi, l’interfaccia tra moduli diviene più complessa, piuttosto che meno. È perciò più difficile mantenere Il sistema, anche se il suo progetto fisico sembra più semplice. Fino a questo punto l’oggetto della nostra discussione sono stati i moduli fisici (hardware). Come abbiamo notato in precedenza, bisogna considerare il diverso problema concernente la decomposizione modulare dei software.

È estremamente difficile realizzare il plug&play con moduli software in un sistema complesso che funzioni in tempo reale, a meno che le funzioni svolte da moduli diversi non abbiano interazioni davvero piccole (Garlan, Allen eOckerbloom, 1995). La programmazione orientata verso l’oggetto usa interfacce standard e semplificate per associare moduli software, in modo tale da abilitare i diversi componenti a comunicare all’interno di un programma vasto e complesso. Alcuni software complessi sono stati progettati per la modularità plug&play; ad esempio, molti grossi programmi commerciali presentano delle caratteristiche modulari che un utente può accendere o spegnere. Nondimeno, esistono casi di software avanzati e complessi, come quello utilizzato per il sistema di controllo del traffico aereo, dove un modulo non può essere rimosso senza far andare in tilt il sistema (anche se non si ritiene che incida sugli altri moduli).

Edifici, spazi e infrastrutture offrono una sezione in cui si scambiano informazioni attraverso la comunicazione e il movimento. Gli urbanisti hanno derivato l’idea dei moduli spaziali dalla teoria sulla complessità visiva, ma non hanno considerato che le città costituiscono invece dei moduli funzionali. Questo equivoco ha determinato degli errori tipologici e di progettazione più gravi. Nuovi lotti residenziali, una torre per uffici o un centro commerciale viene approvato, con l’incauta aspettativa che sarà efficientemente collegato alla città esistente. Non appena uno di questi (non)moduli viene inserito, le forze urbane generano spontaneamente moduli funzionali che non rassomigliano a quelli previsti dagli urbanisti. Quei moduli funzionali si estendono da una parte all’altra della città, complicando la congestione del traffico e la perdita di comfort. Le infrastrutture mal costruite e la zonizzazione, idonee a sostenere l’integrità dei (non)moduli spaziali urbanisticamente irrilevanti, obbligano di solito i moduli autentici che si sviluppano ad essere estremamente deboli.

La progettazione contemporanea si basa infatti fortemente sulla creazione di nuovi (non)moduli spaziali, e sul loro inserimento nella città. Apparentemente progettati con caratteristiche assolutamente indipendenti dalla città, in realtà sono ben altro. Un complesso di case periferiche, una torre per uffici o un parco uffici si collegano alla rete del trasporto cittadino attraverso un’unica strada. Questo metodo sembra falsamente seguire la pratica industriale informatica relativa all’utilizzazione di un’interfaccia ristretta che permetta l’interscambiabilità dei moduli — sia pur basata su di un’idea sbagliata. Poiché tali (non)moduli comprendono molte componenti interscambiabili, le connessioni latenti col resto della città sono enormi, e devono tutte passare attraverso l’unico canale disponibile. Questo sovraccarico certamente non si conforma al criterio di una semplificazione dell’interfaccia adatta a limitate interazioni inter-modulari. Paradossalmente, quando l’interfaccia funziona come dovrebbe — riducendo l’interscambio — allora il modulo muore.

Sappiamo che gli urbanisti dell’inizio del ventesimo secolo adottarono tecniche di produzione di massa a partire dalla produzione industriale e le applicarono alle città. Una di queste, nel tentativo maldestro di implementare l’idea che le unità urbane dovessero sembrare come moduli spaziali riutilizzabili, fu l’estrema semplificazione visuale dei componenti “hardware” della città. Non dovremmo sorprenderci, quindi, delle conseguenze che questa misura ha sul sistema. La separazione fisica e la separazione delle funzioni elimina la complessità funzionale dalla struttura edificata della città, e sovraccarica il movimento quotidiano delle persone. Il semplicistico ordine visuale della progettazione modernista, ha pertanto come involontaria conseguenza una complicazione funzionale estrema (quindi un sovraccarico) della rete dei trasporti.

Riprendendo l’analogia città/computer, molte delle attività urbane odierne e i rispettivi costi sono dovuti allo spostamento dei dati. Questa non è un’attività utile in un computer, ma qualcosa che si verifica soltanto quando c’è un errore. Spostare i dati continuamente non ha alcuna funzione utile — non è una parte del software, e non calcola o elabora nulla. Tempo utile per i calcoli viene speso nell’elaborare le informazioni. L’analogia urbana relativa a inutili trascinamenti di informazioni obbliga le persone a muoversi vanamente nella città per svolgere i propri compiti quotidiani, con conseguente spreco di tempo ed energie. Gli urbanisti che utilizzano (non)moduli spaziali plug-in, massimizzano questi spostamenti superflui per mezzo di una geometria urbana inadatta.

 

La città funziona come un cervello e non come un computer

Diverse architetture di sistemi caratterizzano sistemi complessi che funzionano diversamente, come per esempio un computer digitale rispetto al cervello umano. La funzionalità di un sistema elettronico è espressa come una serie di comandi in un software. Il ricorso a contesti espliciti deriva dalla ben nota separazione memoria/elaborazione dell’architettura sistemica di von Neumann, su cui si basa la maggior parte dei computer (Coward, 2000). Le informazioni scambiate tra due moduli devono avere significati espliciti in termini di funzionalità verso il modulo ricevente. I moduli possono quindi utilizzare le informazioni d’input per generare output che sono ordini per il sistema.

Mantenere tuttavia contesti espliciti risulta poco funzionale in un sistema complesso come una città che deve euristicamente modificare o apprendere la sua funzionalità. In un sistema che apprende, i moduli devono euristicamente determinare i propri input e output (ad es. apprendere per tentativi ed errori). Tuttavia, se un modulo cambia gli output, gli altri moduli che hanno precedentemente ricevuto input da quel modulo non riescono facilmente ad adattarsi. I moduli riceventi non possono assegnare un significato esplicito al nuovo output. Quindi gli output provenienti dagli altri moduli possono solo cambiare gradualmente, secondo modalità che minimizzano la perdita di significato verso altri moduli. Per quanto riguarda una città, questo significa che uno sviluppo lento genera un tessuto urbano sano, e che quindi sono necessari tempi lunghi affinché anche una città possa svilupparsi. D’altra parte, stravolgimenti radicali del tessuto urbano sano distruggono lo scambio di informazioni significative che hanno luogo nella città. Ne consegue una disfunzione urbana che perdura finché non sia trascorso un tempo sufficiente per ricostruire contesti di informazioni.

Per un sistema complesso esistono due possibili architetture di sistemi. Una è quella di von Neumann che implica una separazione memoria/elaborazione e che sostiene lo scambio esplicito di informazioni, in cui la funzionalità è esplicitamente controllata. L’altra è quella di segnali che implica una separazione gruppi/competizione e che sostiene scambi d’informazione significativi eppure un po’ ambigui, in cui la funzionalità è definita euristicamente (Coward, 2000, 2001). Un sottosistema competitivo interpreta gli output dei sottomoduli come una serie di comportamenti alternativi, e seleziona velocemente una delle alternative. Questo processo dipende in maniera decisiva dal feedback significativo che determina come il sistema debba adeguatamente comportarsi.

Quando la funzionalità deve cambiare euristicamente o senza una direzione centrale, un sistema adotta un’architettura di segnali. I cervelli biologici hanno sviluppato un’architettura di segnali (Coward, 1990, 2000, 2001). Nel cervello dei mammiferi la separazione tra gruppi/competizione corrisponde alla separazione anatomica tra corteccia e strutture subcorticali (Coward, 2000). I sistemi elettronici commerciali, utilizzano d’altra parte immancabilmente l’architettura di von Neumann. Nei sistemi elettronici più complessi è estremamente difficile sviluppare la funzionalità in maniera controllata. Quando avviene un cambiamento, sono necessari test su vasta scala e correzioni degli errori, test che si riferiscono non solo a modificazioni della funzionalità, ma ad esempi di tutte le diverse funzioni del sistema.

Un’architettura di sistema secondo von Neumann non è scalabile. Pertanto una città finemente sintonizzata per funzionare ad una certa dimensione non può gestire in maniera davvero efficiente i cambiamenti che riguardano la sua dimensione. Poiché l’architettura di segnali, per svolgere la stessa funzionalità, utilizza maggiori risorse dell’architettura di von Neumann, nel caso in cui alcun cambio funzionale sia necessario, le forze operative spingono il sistema verso l’architettura di von Neumann. Lo scambio delle informazioni tende allora a diventare esplicito in quanto si comprende quale sia l’azione richiesta in ogni situazione. Se tuttavia le condizioni cominciano a cambiare, un sistema di tal genere non riuscirà ad adattarsi. Il sistema non può più trovare un compromesso valido tra l’uguaglianza dei moduli e lo scambio d’informazioni, che appare dall’abilità costantemente decrescente a effettuare cambiamenti. Il fallimento della Manchester del diciannovesimo secolo ne rappresenta un esempio urbano. La città divenne molto efficiente nel campo dell’industria del cotone, ma non riuscì ad adeguarsi al cambiamento delle condizioni finanziarie.

La risoluzione di segnali contrastanti deve avvenire in una funzione istituzionalmente separata che non richiede complessa coordinazione. In una città le istituzioni elettorali e giuridiche svolgono questa funzione. Esistono delle somiglianze interessanti tra il sottosistema competitivo qui descritto e i meccanismi politici e giuridici. In un cervello fisiologico la funzione competitiva sceglierà in genere una o l’altra opzione piuttosto che cercare di trovare un compromesso, in quanto è impossibile sapere se un compromesso non peggiorerà le cose. Così il processo di controllo giuridico e governativo costituito per risolvere i conflitti in genere seleziona un vincitore fra le alternative esistenti, piuttosto che generare un nuovo comportamento.

 

Il ruolo delle telecomunicazioni

È necessario incorporare le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni nelle funzioni di una città tradizionale (Drewe, 1999, 2000). Le dinamiche relative al rapido sviluppo della città elettronica sono ad oggi poco comprese, mentre il modello del ventesimo secolo di una città basata su di un semplicistico ordine spaziale è irrilevante ai fini della creazione di un modello di rete di comunicazione. Caseggiati funzionalmente separati e perfettamente allineati su di un reticolo rettangolare, non mostrano la sovrapposizione delle varie reti che in effetti determinano il funzionamento di una città (Dupuy, 1991, 1995). Come sistema complesso il cui output corrisponde alla cultura e al benessere derivanti dall’idea di scambio, una città ha un’architettura funzionale basata sullo scambio delle informazioni (Meier, 1962). Le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni dovrebbero a diversi livelli di scala integrarsi efficientemente nella gerarchia delle funzioni di scambio delle informazioni.

Come è stato ben documentato (Jacobs, 1961; Graham e Marvin, 1996), l’avvento delle telecomunicazioni sin dall’introduzione del telefono ha alterato drasticamente i sistemi urbani. Lo scambio delle informazioni si è intensificato ad un livello prima inimmaginabile. Le telecomunicazioni richiedono costi bassi nel senso di scarsi movimenti fisici delle persone. All’inizio l’aggregazione delle persone nelle città si spiegava in termini di necessità di comunicare a costi bassi, e questa è ancora la forza trainante che diciamo regge i quartieri di commercio di diamanti di New York City e di Anversa. Si potrebbe sostenere che il bisogno delle persone impegnate in attività simili ad aggregarsi è in parte sostituito dalle telecomunicazioni. Questa affermazione è veritiera solo se lo scambio di informazioni che le telecomunicazioni permettono è simile a quello proprio del contatto personale.

Alcuni autori hanno previsto che le telecomunicazioni avrebbero sostituito il pendolarismo. È facile comprendere perché tali previsioni fossero infondate se analizzate dalla prospettiva dell’architettura delle informazioni. Lo scambio delle informazioni che si realizza attraverso il contatto personale e il movimento delle persone ha un contenuto molto più ricco, comprese le informazioni che scaturiscono da una combinazione del tono della voce, dell’espressione e del linguaggio del corpo (Hallowell, 1999). Inoltre, una visita consente al visitatore di osservare una quantità di informazioni non altrimenti disponibili, e permette alla persona visitata di osservare le reazioni del visitatore a tali informazioni. La molteplicità di fonti relative alle informazioni ambientali non può essere riprodotta da un numero ristretto di canali di comunicazione.

Il campo in via di sviluppo relativo alla “gestione della conoscenza” si rivolge ad alcune problematiche fondamentali a lungo ignorate dagli architetti e dagli urbanisti (Ward e Holtham, 2000). Ad esempio, qual è l’ambiente fisico ottimale di lavoro che contribuisce a produrre risultati creativi? Questa è certamente una domanda da mille miliardi di dollari, tenuto conto che la nostra civiltà si basa su di un motore economico spinto dalla creatività umana che si esprime all’interno di edifici, piuttosto che su di un’agricoltura di sussistenza. Superando gli aspetti strettamente spaziali del campo delle informazioni (si vede Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione), gli studiosi che fanno ricerca nella gestione della conoscenza individuano ogni aspetto informativo dell’ambiente, che comprende le decorazioni degli uffici e i soprammobili, le interazioni umane e le dinamiche sociali fondamentali per sostenere o intralciare il lavoro creativo.

Le grandi società si sono accorte che l’introduzione di nuovi meccanismi di comunicazione come le email o le videoconferenze non riducono in effetti la quantità di spostamenti fisici. Le potenzialità delle nuove comunicazioni determinano l’aumento della complessità dei progetti che possono essere intrapresi, piuttosto che la sostituzione delle comunicazioni esistenti (vediamo ancora la tendenza dell’ottimizzazione verso il carico frattale). L’eccezione è che, se un nuovo meccanismo di comunicazione determina lo stesso scambio di informazioni ma a costi inferiori per quanto riguarda le risorse o il tempo, il nuovo sostituirà il vecchio. Ne costituiscono degli esempi la sostituzione del telegrafo con il fax, e la sostituzione in nord America del viaggio ferroviario tra stati diversi con il viaggio aereo.

Lavorare da casa attraverso la connessione elettronica è oggi possibile, ed esistono diversi esempi di realizzazioni di successo. Per prima cosa, le persone costrette a rimanere a casa possono ora connettersi a punti di informazione che sarebbero altrimenti troppo costosi (in termini di tempo e di organizzazione) per potervi interagire fisicamente. In secondo luogo, le persone importanti e agiate possono stabilirsi in qualche splendida località turistica, e dirigere i propri affari attraverso connessioni elettroniche. Tutto ciò è possibile perché le risorse finanziarie permettono loro di disporre di tutte le informazioni necessarie, e basta un breve viaggio per potersi dedicare con impegno a qualsiasi scambio delle informazioni che avvenga a livello personale. Il modulo in questo caso, per coloro che possono permetterselo, rappresenta un ambiente stimolante dal punto di vista delle informazioni.

Qualcuno intrappolato in un ambiente carente di informazioni non può tuttavia essere del tutto felice di lavorare esclusivamente da casa. Normalmente, uomo o donna che sia, preferisce affrontare il traffico nelle ore di punta in quanto un’uscita offre almeno un certo stimolo informativo, e consente uno scambio di informazioni a tu per tu con i propri colleghi. Le persone che vivono in periferia si sentono private delle informazioni e trascorrono ore al telefono o davanti alla televisione o al monitor del computer cercando così una soluzione al problema. Il luogo di lavoro, come nodo sociale primario, ha per molte persone sostituito la casa. La gente non vuole soltanto rimuovere il trauma del lungo pendolarismo quotidiano in macchina, autobus o treno; vuole svolgere il proprio scambio giornaliero d’informazioni a costo minore. Oggi si paga un prezzo eccessivamente alto nel traffico automobilistico per ricevere informazioni davvero poco significative.

Le stesse osservazioni sono valide anche per lo shopping online. Senza alcun dubbio poter ordinare un prodotto dal monitor di un computer stando a casa, ha rivoluzionato l’interattività commerciale, e probabilmente determinerà ulteriori maggiori cambiamenti nelle abitudini dei consumatori. Tuttavia, le componenti fondamentali dell’esperienza dello shopping sono sociali, sensoriali e pubbliche. Includono raggiungere il negozio; interagire con altri clienti; toccare e sentire il prodotto prima di prendere una decisione; associare l’uscita per lo shopping con qualcos’altro, ecc… Questa dimensione sociale è alla base dello “shopping per divertimento”, un passatempo per molti, e un metodo emotivamente soddisfacente di scambiare informazioni per tutti, comprese le persone più indaffarate del pianeta.

Jennifer Light ha esaminato le interazioni esistenti tra la città fisica e quella elettronica (Light, 1999). Non condivide il pessimismo espresso da altri autori in relazione alla sostituzione della città fisica con quella elettronica. Concordiamo con lei quando afferma: “Il declino delle città non può quindi spiegarsi semplicemente come un fenomeno fisico attribuito allo sviluppo dei media elettronici” (Light, 1999). Questo coincide con quanto abbiamo rilevato in rapporto ai nuovi modelli di attività urbane, che utilizzano la connettività elettronica per rinsaldare e recuperare il tessuto urbano pedonale. Anche la luce difende i centri commerciali, che esprimono un bisogno di scambio di informazioni cancellato in altre parti della città (Light, 1999). Secondo noi il declino delle città deriva dall’errata comprensione delle forze e delle reti urbane, declino non tanto determinato quanto conseguente a fenomeni urbani quali i centri commerciali.

Gli ultimi esempi dimostrano la necessità di creare moduli funzionali in una gerarchia di connessioni. È necessario che un modulo nucleare di una persona che lavora da casa sia compreso in un modulo funzionale più grande. Se questa condizione non è soddisfatta, allora il modulo più piccolo si rompe. Questo spiega perché la gente non è motivata a lavorare da casa, e perché la mancanza di una gerarchia di moduli ha ostacolato la realizzazione della così tanto pubblicizzata “telecittà”. In antitesi a ciò, la persona d’affari agiata che può lavorare con un portatile da un caffè di prim’ordine, o accanto alla piscina di un hotel in una località turistica, si è integrata in un modulo ambientale molto piacevole e stimolante.

 

Le reti e i modelli di sviluppo delle città

Se le telecomunicazioni non riescono a trasmettere significati accettabili, lo scambio delle informazioni coinvolgerà il movimento delle persone. Una rete di trasporto efficiente permetterà che un’alta percentuale di scambi di informazioni primarie avvenga con scambi di informazioni secondarie attraverso brevi percorsi (diciamo meno di 10 minuti a tratta); che una percentuale intermedia avvenga attraverso un discreto trasporto meccanico sopraelevato (diciamo meno di 30 minuti a tratta); e che solo una piccola percentuale richiederà alti costi di trasporto sopraelevato (diciamo da 30 minuti a un’ora a tratta). Gli spostamenti che in totale impiegano più di una giornata lavorativa saranno in linea generale annullati. La distribuzione sia delle lunghezze dei percorsi sia dei tempi di spostamento dovrebbe seguire una legge scalare a potere inverso che favorisca la piccola scala, dove il numero di percorsi è inversamente proporzionale alla loro lunghezza (si veda Capitolo 5: Note sulla composizione della città).

Creare un network efficiente dipende dalla divisione funzionale della città, e richiederà sempre un compromesso. La decisione di ridurre il trasporto sopraelevato in corrispondenza di una tipologia di spostamento può aumentare quello corrispondente ad un’altra tipologia. Ad esempio, allargare una strada e aumentare il traffico veicolare può rendere più lunghi molti spostamenti pedonali verso l’altra parte della nuova strada, o renderli impraticabili, distruggendo così molti moduli funzionali di lavoro che dipendono da quei percorsi. È quindi essenziale indagare se una richiesta manifesta di una nuova connessione in una rete ad alto livello come una strada principale potrebbe essere indirizzata da una diversa divisione di moduli, che potrebbero a loro volta ridurre la necessità di brevi spostamenti nella direzione della strada progettata.

Il cambiamento in una città è onnipresente. L’obiettivo dell’urbanistica è quello di sostenere una città nel suo sviluppo e nella ridefinizione dei moduli affinché possano modificare la propria funzionalità. Non è facile determinare i cambiamenti più appropriati, nei moduli e nella rete, tali da poter rispondere ai cambiamenti dei bisogni della città e dell’ambiente. Il cambiamento urbano deve essere una funzione innata e naturale del sistema, basata su di un complesso modello di scambio d’informazioni. Come si è sostenuto nei capitoli precedenti, i cambiamenti imposti a livello centrale presentano in maniera rappresentativa molti effetti collaterali indesiderati ed imprevedibili. Ogni tentativo rivolto verso una direzione centrale complessiva di moduli e network ad ogni scala, determinerà una disfunzionalità costantemente crescente. Nonostante ciò, la progettazione si focalizza ora su interventi a larga scala, e non ammette lo sviluppo spontaneo determinato da input a livelli diversi.

I diversi moduli ad ogni livello di scala avranno bisogno di generare segnali alternativi per il cambiamento di moduli e network. Un semplice processo competitivo deve selezionare il cambiamento più appropriato. Il feedback conseguente deve allora regolare il sottosistema competitivo affinché sviluppi le sue selezioni verso quelle che ottimizzano il network. Una conoscenza significativa per un cambiamento può esistere a diversi livelli. Devono quindi esistere dei meccanismi con i quali i moduli a diversi livelli di scala suggeriscono il cambiamento, che può quindi essere ricevuto, interpretato e integrato in una decisione che ottimizzi l’efficienza complessiva della città. Le città meno efficienti possono assumere a modello in maniera esplicita le città più fortunate, a condizione che le relazioni funzionali siano assunte a modello, e non solo le strutture fisiche e le singole istituzioni.

È esattamente a questo proposito che la città elettronica può essere utile a quella reale. Esistono molte idee riguardo a come coinvolgere le persone nel proprio ambiente; a come promuovere sia l’informazione su problematiche urbane sia le risposte dei residenti; a come riprodurre e coordinare gli interventi urbani; molte cose che erano estremamente difficili da realizzare prima dell’avvento di internet e della Rete Mondiale (Light, 1999). Se procediamo su questo compito in maniera intelligente, allora si può far valere una nuova comprensione dei sistemi urbani capace di rivitalizzare la vita urbana in molte aree, e di impedire anche l’estinzione della vita attuale in aree minacciate da una cieca “modernizzazione”.

 

Conclusioni

Abbiamo fatto alcuni passi avanti nell’identificare l’architettura sistemica delle città paragonate a sistemi complessi d’informazioni, come i computer digitali, gli organismi biologici e il cervello umano. Una città funziona secondo un’architettura dell’informazione che segnala ma non richiede un’azione. La funzionalità a tutti i livelli di scala è determinata dalla necessità di ottimizzare lo scambio delle informazioni, da un meeting faccia a faccia tra due persone, al movimento dei singoli individui, fino agli spostamenti quotidiani di molte persone tra nodi urbani.

I moduli funzionali dovrebbero svilupparsi in modo tale che maggiori informazioni siano scambiate all’interno di un modulo piuttosto che tra moduli diversi. Similmente ai cervelli umani ma a differenza dei sistemi elettronici, le città devono modificare la propria funzionalità senza un esplicito controllo intellettuale su ogni dettaglio del cambiamento. Il nostro modello ci permette di aiutare una città vivente a “guarire” come succede ad un organismo vivente, e a guidare il suo sviluppo a condizioni mutevoli. Piuttosto che utilizzare modelli basati su geometrie aeree visivamente regolari, questo approccio permette di valutare i cambiamenti nei progetti delle città, nei codici di zonizzazione, nei trasporti e nelle reti di comunicazione, in termini del loro impatto sull’efficienza globale della città.

 

NAS è molto grato a Rajendra V. Boppana, José N. Iovino, TurgayKorkmaz, Josep Oliva i Casas, e Arthur van Bilsen per gli utili commenti e consigli.

Prima pubblicazione in Journal of Information Science, volume 30 No. 2, 2004, pagine 107-118. Traduzione: Milena De Matteis.

 

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