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Progetto Artena in Puglia, e altre consonanze

Martedì 19 Novembre 2013 23:53  |  Novità  |  

 di Stefano Serafini
 
1. Pubblico come piattaforma

Laboratori dal Basso è la piattaforma della Regione Puglia che sostiene con fondi regionali ed europei lo scambio di esperienze e conoscenza fra i protagonisti dell’innovazione culturale e sociale italiana. Si tratta di un’iniziativa molto diversa dai vecchi contributi per “la cultura” dove – anche con le migliori intenzioni – la burocrazia determina i criteri di scelta, e quindi i contenuti, di ciò che viene sovvenzionato, assumendosi così responsabilità che facilmente scadono nella parzialità e nel distacco dalla realtà, quando non nella malversazione e nel volgare nepotismo.

L’istituzione regionale ha ideato invece un nuovo sistema di facilitazione peer-to-peer: essa non distribuisce denaro a nessuno, ma rimborsa monasticamente spese di viaggio e una modica tariffa oraria agli esperti che associazioni o gruppi di cittadini attivi sul territorio pugliese decidano di invitare per far fronte alle proprie esigenze di formazione ed esperienza. I contenuti non vengono dunque scelti dalla classe dirigente, ma forniti dai cittadini. Insegnamenti, scambi e contatti risultano per questo motivo assai più aderenti, sincronici ed efficaci di quelli che neanche un amministrazione da sogno avrebbe mai potuto sognare di produrre.

La Puglia si è così trasformata nell’ultimo anno in uno straordinario vivaio intellettuale e sociale, ospitando i migliori cervelli (e cuori) del Paese. Migliori non perché selezionati dall’industria mediatica o dall’accademia, ma perché scelti dai loro pari, sulla base di esigenze concrete e puntuali, e di una conoscenza frizzante dello “stato dell’arte” che può vantare unicamente chi nell’arte è immerso. Se mi interessa davvero lo sviluppo urbano tanto da scommetterci il mio impegno sociale, e ho bisogno di soluzioni innovative, probabilmente conosco chi in Italia sta fornendo contributi interessanti, o almeno conosco qualcuno che saprà indicarmelo, indipendentemente dalle opinioni dei giornali o delle tv. È la forza della necessità e del desiderio di sapere moltiplicata dalla rete.

Il vantaggio è ovviamente duplice. Il territorio si arricchisce d’una rapidissima diffusione di conoscenze calzanti, urgenti, volute, con un fenomeno simile alle antiche universitates, le corporazioni di studenti che sceglievano e pagavano i propri docenti nell’Europa bassomedievale. Gli esperti, i professionisti e gli attivisti di altre regioni apprendono il modello e le esperienze pugliesi, e attivano relazioni con le realtà locali che possono tramutarsi in progetti comuni. Si crea un sistema virtuoso di capitali sociali che beneficia tutti, a costi bassissimi.


2. Gravina in Puglia. Il centro è il margine

Il riutilizzo degli spazi urbani abbandonati, esemplari quelli degli splendidi centri storici della provincia italiana, è stato l’argomento del workshop Laboratori dal Basso Reactivicity/Borderline Re-hab tenutosi a Gravina in Puglia (BA) lo scorso 16 Novembre. Voluto dal gruppo Siamo Tutti Tufi, ha ospitato Stefano Serafini della International Society of Biourbanism per il Progetto Artena, Marco Lampugnani di Snark Space Making e Andrea Bartoli di Farm Cultural Park.

Siamo Tutti Tufi è un gruppo di giovani e brillanti professionisti (tra questi la filosofa Mariagiovanna Turturo, l’ingegnere Mimmo Misciagna, l’architetto Giuseppe Graziani, e l’architetta Stefania Lorusso) definito da un comune sentire e coagulatosi a seguito del crollo di un edificio storico sul margine della gravina. I collassi delle nostre bellezze architettoniche e archeologiche ormai non fanno più neanche breccia nel mainstream mediatico, ma rappresentano il trauma terribile della perdita di un pezzo di vita per chi li subisce in prima persona; forse anche perché riecheggiano la slavina che sfalda la nostra realtà in crescenti squame di assenze, vuoti ed interfacce morte. Per i Tufi gravinesi, quel crollo è stato il punto di svolta che li ha convinti ad abbandonare la vecchia via della protesta e dell’attesa di una riscossa altrui, e ad agire in prima persona.


3. Sta accadendo in Italia, nel corpo vivente della provincia

È questo uno schema che da qualche anno si ripropone spontaneamente in tutto il Paese, soprattutto al Sud. Ciò fa pensare alla nascita di una nuova generazione politica che ha alle spalle il trauma del fallimento delle dialettiche gerarchiche e di rappresentanza. L’Italia ha senz’altro una lunga e nobile tradizione di volontariato e associazionismo, sulla quale molto del buono della nostra comunità nazionale si sostiene. Tuttavia queste nuove forme di sorpasso e supplenza dell’istituzione hanno due caratteristiche che le distinguono dall’azione civica di una generazione fa. 

Innanzitutto esse realizzano lo spazio politico delle persone che la prassi economica totalizzante della “fine della storia”, fatta propria da tutte le classi dirigenti degli ultimi 20 anni, aveva apparentemente cancellato dalla nostra vita, fingendo che fosse possibile trasformare lo zoon politikon aristotelico in un mero zoon, o animale da stabbio del consumo. Le persone hanno bisogno di spazio politico, e se ne riappropriano sottraendolo alla rappresentanza risultata incapace di dargli corpo (fine dei partiti politici, crollo della partecipazione al voto, ecc.). Non si tratta di idealità astratta né di sacrificio, ma di un vero bisogno di realizzazione personale e sociale, di un fare e costruire il proprio corpo di fini e relazioni autentiche, significative, valorizzanti, efficaci. Le persone rifiutano la dialettica passivante intrinseca alla determinazione di “utenti” della politica, della produzione, dell’informazione, persino dell’arte, e ne divengono interpreti diretti.

Parte dell’auto-realizzazione consiste nella produzione diretta di valore economico, cioè la sua riconnessione con la sostanza politica: per la società borghese europea a terziario avanzato, tramite la condivisione e il riconoscimento di azione e sapere in una società di pari, che porta con sé riflessioni nuove sul dispositivo del denaro. Il capitale post-industriale e dematerializzato, dagli anni ’90 in avanti, ha paradossalmente facilitato tale agnizione civica erodendo il valore convenzionale delle professioni borghesi in Occidente (ormai non sono soltanto i giornalisti e gli architetti italiani ad essere disoccupati o sottopagati, comincia ad avvenire anche in Olanda e in Inghilterra; seguono medici, avvocati, commercialisti, per es.). La seconda caratteristica è dunque una sorta di “coscienza di classe liquida”, che si differenzia da quella marxiana per l’elemento individualistico, globulare, di sciame. La rivoluzione antropologica imposta da televisione, supermercati, automobilismo, turismo, che ha imposto la segmentazione del corpo sociale in unità di consumo non comunicanti, in automi del desiderio senza scopo e senza corpo si è infatti compiuta, e la sussunzione è stata a sua volta sussunta dai suoi oggetti: in altre parole il dispositivo illuministico dell’ego, come da impulso dell’economia della crescita senza termine, è stato ormai completamente introiettato. Ma è proprio attraverso tale sussunzione integrata nelle coscienze individuali, che si è anche verificata quella “accettazione” della rivoluzione necessaria al suo superamento di cui parlava Berdjaev, quando spiegava che solo i figli della rivoluzione possono arrestarla. La reazione è per sua natura destinata a perdere, perché quel che vuol restaurare è proprio lo stato di cose dal quale la rivoluzione è nata. L’amaro calice, insomma, è stato bevuto, ed è dunque il tempo di riempirlo di qualcosa di nuovo e di buono.


4. Consonanze e risonanze vitali

Cosa hanno realizzato i Tufi di Gravina? Innanzitutto sono entrati in consonanza, e da struttura si sono trasformati in sistema sociale. Detto in termini vecchi, hanno realizzato l’equivalente contemporaneo di una comunità civica autentica, perché hanno scoperto nella cura per il loro spazio urbano un bisogno biopolitico e una chiave comune. Cercano una realizzazione in primis individuale, ma di un’individualità corporea, storica e non astratta che fonda e innerva la socialità. Uno di loro ha acquistato e recuperato – ma soprattutto ha cominciato a godere – una delle case abbandonate sul margine della gravina: uno spazio maestoso, armonico, divertente, con una vista inestimabile su uno dei panorami più affascinanti d’Italia. Il gruppo vi ha istituito la propria base. E dal “centro marginale” di Gravina ha cominciato a lanciare iniziative e stimoli sulla città che hanno risuonato nell’immaginario, nelle opinioni e nelle scelte di altri cittadini e persino dell’amministrazione pubblica. Hanno generato una vibrazione che si chiama cultura.

L’incontro Borderline Re-hab da loro realizzato, ad es., ha portato tale risonanza in Sicilia, nel Lazio e in Lombardia. Il tema era: come riutilizzare vecchi spazi urbani abbandonati, tipici dei centri storici minori, per produrre vita, gioia, esistenza, realtà?


5. Lombardia. Snark Space Making

Primo a parlare è stato Marco Lampugni, giovane e brillante presidente di Snark Space Making, un network multidisciplinare che studia la città e propone funzionalità innovative, come Okobici, “la patafisica del bike sharing”. La bicicletta di proprietà viene messa in rete grazie a un lucchetto elettronico che si apre quando riconosce un membro del network. Le bici possono essere lasciate e prese ovunque grazie alla connessione Internet, senza più bisogno di flotta bipedale di proprietà dell'ente, rastrelliere e punti di raccolta. Il pubblico “tradizionale” (governo della città, eventualmente) predispone unicamente una piattaforma di scambio d’informazione. Il “nuovo” pubblico è costituito dall'iniziativa e dal bene di proprietà (le bici) scambiato in comune dai cittadini stessi, dimostrando che la dicotomia pubblico/privato è soltanto un dispositivo che opera immaterialmente sulla prospettiva mentale e sulle relazioni sociali. Esso può essere riprogettato grazie a un intervento altrettanto immateriale che ritorce il design contro il suo codificato, pur servendolo, e offre diagonali di creatività liberata non senza una punta di ironia.


6. Sicilia. Il “modello americano”

Andrea Bartoli, notaio, è stato chiamato a Gravina per spiegare il suo progetto Farm Cultural Park, con il quale ha trasformato il piccolo borgo di Favara (AG) nel primo centro diffuso di esposizione artistica contemporanea al mondo, attirandovi attenzione, capitale sociale internazionale, qualità di vita, ed economia. “In America, chi può permetterselo istituisce una biblioteca, un museo, un ente per la cultura o il benessere degli altri cittadini. In Italia invece va a puttane o si fa le labbra a canotto”, ammicca Andrea che si diverte a scrivere “Favara” sotto una riproduzione della Statua della Libertà. Professionista affermato che ha vissuto e lavorato a Parigi e a New York, vuole cambiare il modello deteriore di chi si arricchisce solo per se stesso, e senza altro scopo che quello di far soldi (“ma che senso ha?”). Quando con la moglie e le due figlie piccole si è trasferito a Favara, tristemente nota ai media per i crolli dei suoi edifici fatiscenti, ha cominciato a investire i suoi soldi e le sue capacità in qualcosa che fa del bene alla collettività. Ha scatenato decine di volontari e l’energia di un intero paese. In cambio, riceve la soddisfazione personale di realizzare cose belle, e un ambiente vibrante dove le sue figlie giocano sicure e vivono esperienze straordinarie che lui, da bambino, non aveva potuto vivere. L’America è qui.


7. Lazio. Non facciamoci segnare

Stefano Serafini ha parlato di biourbanistica, Progetto Artena , Progetto Segni e Progetto Lepus, offrendo una delle sue insalate filosofiche per accennare al bisogno di autenticità che attraversa le strade delle nostre città e dei nostri borghi. Qui in casa sappiamo di cosa si tratta. Limitiamoci a una nota sul suo cruccio che anche le formule più avanzate dell’economia 3.0, quelle del capitale sociale e della creatività liberata, non vengano sussunte dal capitale sfruttando proprio l’apparente chiave vincente della rete, della comunicazione, e della condivisione gratuita, piegate con una sottile e fluida morsa di aikido alla maschera dello spettacolare debordiano divenuto piattaforma direzionante. Facendo leva sull’ego – estetico ed estatico – che è ciò che fa un po’ di noi tutti la sostanza di quel sistema dal quale crediamo di sfuggire. Agire, comunicare, condividere, attivare un business autonomo sono soltanto pezzi incompleti ed emergenti di un’intenzionalità invisibile sulla quale si costruisce la sostanza della politica, la città dei viventi. Attenzione dunque ai segni – ad es. proprio all’estetica, strumento di controllo borghese – che continuano a dare la caccia al corpo, al suo spazio e alle sue proporzioni socio-politiche.


8. Ci sono crepe ovunque. È così che passa la luce

Nel centro della bella Gravina un memento pubblico pare conferire un secondo nome alla strada sulla quale campeggia. Sovra un teschio con tibie incrociate un cartiglio recita: “Via universae carnis”, la via di ogni carne. Baudrillard aveva ipotizzato la morte come unica forma di resistenza alla sussunzione dell’iperreale che donando svuota. La finitudine che rinnova è l’essenza della vita, e ci fa sfuggire, con le nostre crepe, i nostri crolli e le nostre rovine, alla morsa di un assoluto che della vita è soltanto la maschera proprio perché ne esclude il limite ed il senso, la direzione ed il luogo. Per cui la morte, questa grande assente dalla pianificazione moderna, più che il segno negativo per eccellenza e il bau-bau dell’Illuminismo omnicontrollante che disperatamente cerca di esorcizzarla, è la realtà stessa che torna su se stessa e si fa mente. Occorre morire ogni giorno per essere mente, per essere vivi, per non avere paura, per scambiare e cambiare, per essere città. Diffidiamo dei minimi e dei massimi, delle assenze di scale, dei centri totali.

Dalle città al margine la rinascita della carne, la rinascita della mente.

 

 

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