Image

La sofferenza dell'Italia è la sofferenza del pianeta

Sabato 15 Giugno 2019 07:00  |  Editoriali  |  

di Sergio Los

Moltissimi italiani sono disperati e abbandonano l’Italia pensando che faccia schifo. Non vogliono fare figli in questo paese che pur essendoci nati giungono a odiare – contribuendo così a una difficile crisi demografica – pertanto lo abbandonano a una portata (quantità x velocità) assolutamente preoccupante: uno ogni cinque minuti! Cercano e non trovano in Italia quello che trovano in altri paesi europei o non europei. Questo accade più nel sud che nel nord, dove la differenza tra l’Italia e il mondo moderno pare minore, e in parte lo è. L’Italia unita, militarmente ma non culturalmente, dall’Unità d’Italia è più divisa di prima, tanto che anche oggi crediamo di risolvere i problemi del mezzogiorno coi carabinieri. Prima dell’invasione barbarica che porterà all’unità nazionale il progetto morale cristiano univa da secoli l’Italia, tolto quello non si comprende quale altro progetto morale avrebbe potuto sostituirlo. È certo molto giusto aiutare le famiglie a fare bambini, ma credo che il senso di appartenenza degli italiani ponga la questione molto più radicale di un’ideologia anti-italiana.

Il nostro è un paese di lunga tradizione civica volto a costruire capitale sociale, che per mille anni ha governato l’Europa (prima romana e poi cristiana) con la sua morale, il suo linguaggio e le sue idee. Quegli anni sono tanti da consentirci di dire che l’Europa nasce dalla cultura italiana o ha un’origine culturale italiana. Ma poi, l’Europa è cambiata, e questo cambiamento ha un passaggio cruciale nella Riforma, che dà inizio alla Modernità. In qualche modo quella nuova cultura emergente ha da distinguersi dalla precedente e diventa anti-italiana.

Una prima transizione aveva già fatto scontrare il progetto morale cristiano con quello ebraico sul diritto di assoggettare altre comunità. Gli ebrei credevano che il Messia fosse venuto a battere gli invasori romani, invece Gesù si fa crocifiggere affermando così che dobbiamo amare anche i nemici, non difendendo né gli ebrei né i romani (date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio). Il suo è un progetto morale inter-comunitario volto a superare la competitività tra diverse comunità. La Riforma presenta una seconda transizione che lo fa scontrare con quella modernità tecno-scientifica che conferisce il diritto delle comunità monopersonali, individuali, di assoggettare le comunità toto-personali, universali, ossia l’intero creato: materiale, vegetale, animale, che l’intelligenza umana atea deve essere libera di dominare. Il progetto morale cristiano inter-somatico, mira con l’amore a superare la competitività fra tutte le creature viventi, umane e non umane, proseguendo così la creazione ereditata.

Vi è troppa tradizione civica nella cultura italiana perché possa essere moderna. La riforma si riconosce, invece, nel progetto morale hobbesiano dell’homo homini lupus che lo fa regredire alla situazione intra-comunitaria che precede la prima transizione. Essa interpreta quel moderno bellum omnium contra omnes che, sempre parlando latino, spiega l’attuale ‘ordo-liberismo’ europeo contro l’Italia.

Anche l’evoluzionismo mostra una lotta tra individui per sopravvivere in un ambiente dalle risorse scarse. L’altra matrice del capitalismo anglosassone è la conversione calvinista del verso evangelico, ‘è più facile per un cammello attraversare la cruna di un ago che per un povero entrare nel regno dei cieli’ per comprendere la natura pedagogica delle disuguaglianze economiche. La prossimità civica che si respira a Siena, gli affreschi del bene comune come buongoverno, o il testo della porta Camollia, distano anni luce dal cinismo evocato dal moderno liberismo occidentale, alla cui violenza neanche il pianeta resiste.

L’Italia non riesce a essere moderna, ma contemporaneamente non trova la forza e le parole per dimostrare all’Europa che quella modernità è profondamente sbagliata e che sarebbe stato meglio per l’Europa non allontanarsi troppo dal progetto morale civico, solidale e stanziale, che la cultura cristiana aveva elaborato nell’Europa mediterranea. Neanche la ribellione contro il capitalismo industriale si radica nei paesi riformati, nonostante le credenze di Marx essa sarà invece accolta dalle culture cristiane mediterranee, italiane, spagnole, greche o russe, anche senza industrie.

La disperazione dei migranti, che non è neanche vera disperazione, pone questo drammatico problema: dobbiamo noi italiani accelerare la nostra ulteriore rivoluzione industriale diventando complici, come vuole la UE, ancora più moderni e abbandonando completamente e definitivamente la nostra tradizione culturale civica, monumentale e paesistica (intesa come letteratura) per diventare finalmente noi pure anglosassoni nomadi? Oppure dobbiamo approfondire la nostra tradizione e far comprendere che l’errore è proprio la modernità del capitalismo anglosassone parassitario?

Credo a questa seconda prospettiva, perché sorretta dalle emergenze climatiche che testimoniano la totale incompatibilità di quel liberismo coloniale industriale con la vita dell’ambiente naturale e vedo una grande attualità della forma di vita solidale contro la forma di vita moderna competitiva se vogliamo salvare il pianeta. Occorre mostrare che quella vita – dal controllo impossibile per le sue ‘norme prescrittive’ basate su una morale di individui reciprocamente estranei – distruggerà l’ambiente e anche se stessa. Lavoro da anni su questo progetto per una forma di vita alternativa a quella megalopolitana industriale, ma occorre che questo diventi un progetto politico maggioritario altrimenti resterà inutile.

Il messaggio delle emergenze climatiche, della distruzione di biodiversità, et cetera, mettono in crisi proprio quella arrogante secolarizzazione che emerge dalla riforma con il suo velleitario evolutivamente regressivo nomadismo tecnologico. Quella modernità che gli italiani cercano all’estero è praticamente finita perché impossibile, è coloniale e vive consumando risorse altrui presenti e future. È una disastrosa illusione da evidenziare e chiudere prima possibile. Ma occorre elaborare un progetto alternativo, sul quale abbiamo sviluppato molte esperienze. Questo è un compito che dovrebbe appassionare i giovani italiani, un progetto di vita da far rifiorire, avendo compreso che la meccanizzazione è rifiutata dall’unica forma di vita che conosciamo di tutto l’universo, che è questa nostra terrestre e che quella modernità sta invece cinicamente mettendo a rischio. La difesa politica (civica) della civiltà italiana coincide (dovrebbe coincidere) con la difesa dell’unica forma di vita esistente nell’universo, contro i velleitari disastri prodotti dalle società termoindustriali, meccanicistiche, entropiche, fisiche, antibiotiche.

La città è fondamentalmente organica, è un superorganismo, non può avere una scala megalopolitana, la democrazia non la ammette. Ma se non si parla di questa invasione meccanico fisica da parte della modernità è perché esiste un divieto ideologico, una specie di tabù che è la pressione ideologica del mondo industriale che in questi secoli è stata mostruosa e la sua propaganda ossessiva, oltre che pervasiva, disturba qualsiasi riflessione. Occorre abbandonare furiosamente quella meccanizzazione/fisicizzazione del corpo prima e della mente poi (con l’informatica) che è un uscire dal vivente (una specie di dio fatto macchina al posto di quello fatto uomo). La meccanizzazione delle tecno-scienze ha reso tale perfino la conoscenza, oggi destinata a operare soltanto con protesi meccaniche e ha determinato la fisicizzazione della vita, lontana dalla biologia (vedi la divisione galileiana tra qualità primarie e secondarie).

A molti questa Italia non promette futuri, non fa partecipare a progetti di sopravvivenza, non fa collegare le straordinarie città esistenti col presente meccanizzato, non sanno come correlarle ai valori presenti. Vedono l’Italia in contrasto coi valori mondiali. Il futuro, il destino, il progetto dell’Italia non è fare qualche altro tentativo di adeguarsi ai terminali valori del mondo industriale, valori che stanno devastando il pianeta e che sono incompatibili con l’Italia allo stesso modo in cui sono incompatibili col pianeta. Difendere l’Italia è dunque difendere il pianeta: sono la stessa cosa, ma occorre essere chiari fino in fondo, quindi rifiuto di tutto il mondo termo-industriale, del suo vago ‘military scent’, dalla sua nascita. La sofferenza dell’Italia è quella del pianeta.

La vera morte politica, per cui fuggirei io stesso, è questa confusione, questo doppio gioco con l’idea che si possa mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, tutto e tutti, fare una cosa e il suo contrario, senza attendersi l’esplosione.

 

*Il testo è un commento ispirato dalla visione del ‘Laboratorio per la distruzione dell’Italia’ di Barbara Pavarotti. Il tema verrà messo a progetto durante la quarta Biourbanism Summer School (Artena, 13-20 Luglio 2019) dove il professor Los dirigerà un seminario intensivo, aperto alla partecipazione di professionisti e cittadini, per discutere e progettare un viabile e necessario modello di città civica "fuori dal mercato". Le premesse teoriche di tale progettazione sono esposte nel volumetto bilingue Città e Paesaggi come Sistemi Simbolici, Artena 2019 che può essere prenotato scrivendo all'editore

comments powered by Disqus