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Strategia del paesaggio a San Venanzo

Mercoledì 15 Aprile 2015 18:10  |  Editoriali, Flash  |  

di Davide Luca

Premessa. Alla radice della questione della rigenerazione

Rigenerare significa innescare un processo dinamico di trasformazione che coinvolge dall'interno le strutture profonde di un organismo. A partire dalla riattivazione e ricombinazione dei codici gen-etici che sono propri della sua natura, l'esito è quello di raggiungere configurazioni inedite e innovative che portino ad esprimere potenzialità implicite in grado di dare nuova forza ed energia vitale all'organismo stesso, garantendone la sopravvivenza attraverso il miglioramento delle capacità di risposta e adattamento alle condizioni ambientali del contesto.

La prima considerazione è che la rigenerazione non può essere un processo generico e generalizzabile, una “ricetta” da applicare a qualunque situazione, ma deve partire dalla considerazione delle specificità dell'oggetto in trasformazione e del contesto con il quale esso si trova ad interagire.

La seconda osservazione specifica meglio la portata del concetto di rigenerazione, cioè del “generare qualcosa di nuovo da ciò che preesisteva”.  Affinchè un processo di rigenerazione abbia un esito virtuoso, occorre che esso si innesti su di un corpo esistente provocandone uno sviluppo rinnovato autonomo e appropriato, lavorando con il materiale a disposizione ed evitando quindi di introdurre elementi esterni che possano alterarne o comprometterne la natura propria.

La terza questione fa riferimento al fattore umano, come componente essenziale e imprescindibile obiettivo finale del processo di rigenerazione. Il termine “rigenerare” contiene infatti nella propria radice quello di “popolo” (ghènos, gr. gentes, lat.), inteso come piccola comunità con un patrimonio materiale e immateriale di cultura, usi e memorie, ma anche speranze e desideri. Istanze da tradurre e trasmettere, ma anche materiale manipolabile per la trasformazione e la reinvenzione da parte delle generazioni successive.

 

Rigenerare cosa, perché, in che modo

Una categoria del tutto speciale all'interno dei processi di rigenerazione è rappresentata dai “piccoli centri storici”. Organismi urbani questi che, nonostante possano sembrare facilmente affrontabili data la ridotta dimensione, presentano dei livelli di complessità completamente differenti rispetto a quelli della città tradizionalmente intesa.

La questione dimensionale riferita all'estensione ridotta e alla densità compatta di tipo nucleare dell'abitato è da assumere come un elemento di specificità e di interesse da valorizzare (rappresentando infatti un modello abitativo singolare e valido anche nell'attuale situazione storica), ma anche come dato problematico in termini di fragilità e resilienza, cioè di “tenuta” rispetto ai rischi di spopolamento e indebolimento delle strutture sia fisiche che sociali dell'aggregato da un lato, e di perdita dalla sua caratteristica forma urbana a causa di sviluppi edilizi non ben governati dall'altro.

Il problema della “centralità” deve invece essere riformulato considerando un contesto geografico più ampio nel quale inquadrare il sistema di relazioni tra il piccolo centro e le altre realtà territoriali, siano esse infrastrutture, nuove funzioni collettive, nuovi insediamenti di vario tipo che si sono costituiti e agglomerati nel tempo al suo intorno.

Da ultimo, il paradigma della “storicità” è un concetto per certi versi insidioso, che se acquisisce eccessiva enfasi rischia di riproporre le strade già percorse della rivisitazione mimetica del passato ad uso turistico, fino al parossismo di una cura meramente estetizzante di un certo tipo di restauro; d'altra parte, si presenta l'impossibilità totale di intervenire a causa delle maglie troppo rigide dei meccanismi vincolistici di tutela e conservazione. Eludendo in questo modo il cuore del problema che non è costituito dalle “pietre” ma dalle “persone” che realmente abitano questi centri. In questo senso risulta più opportuna e rassicurante la dizione di centri “antichi minori”, intendendo quei centri che sono rimasti al di fuori dei circuiti della riqualificazione turistica e artistica, ma che sono in qualche modo espressione della particolare cultura e comunità locale che li hanno prodotti nel tempo e di cui hanno conservato traccia visibile fino al secolo appena trascorso.

Tali piccoli centri, cosiddetti “minori”, costituiscono l'ossatura insediativa del territorio italiano. Circa il 70% del territorio nazionale è costituito da Comuni con una popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti. Questo semplice dato quantitativo basta per affermare che l'Italia è un paese fatto di piccoli paesi, una galassia di piccoli centri abitati distribuiti in maniera diffusa e capillare lungo tutto il territorio nazionale. È evidente quindi l'importanza strategica del tema per gli assetti e gli equilibri futuri del territorio. Molti di questi piccoli paesi stanno andando incontro a processi epocali di spopolamento e perdita di abitanti a vantaggio dei centri medio grandi, con la conseguenza non solo della perdita del patrimonio storico immobiliare, ma anche della dismissione di intere economie che li sostengono.

In quest'ottica il vero presupposto di ogni ipotesi di rigenerazione è quello di puntare alla continuità abitativa della popolazione, fermando l'abbandono e contribuendo al ricambio generazionale, dimostrando come sia possibile trovare una via alternativa e propositiva rispetto allo scoraggiamento del “qui non è rimasto più niente”. Ciò è possibile attraverso una progettualità creativa di tipo integrato e partecipato, in grado di costruire alternative e percorsi di sviluppo che sappiano guardare alle trasformazioni globali interpretandone le sfide con una risposta locale dal carattere autentico, innovativo e originale.

 

Il caso di San Venanzo (Terni). Da un workshop di progettazione a una programmazione strategica sul paesaggio.

L'esperienza che si intende presentare rappresenta un approccio al tema della rigenerazione innescato attraverso la modalità del workshop e del seminario su temi inerenti il progetto di paesaggio. Fino a questo punto nulla di eccezionale rispetto ad altre situazioni di piccoli borghi, scelti come sede privilegiata per questo genere di attività, che spesso finiscono per costituire essenzialmente un momento di studio e ricerca prettamente accademica. L'aspetto invece realmente importante da sottolineare ai fini di questa sessione sul tema dei processi di rigenerazione, sono gli effetti in termini di disseminazione culturale e le ricadute in termini di risultati concreti sulla realtà locale che ha ospitato questi eventi. Dalla prima edizione nel 2013, il workshop e il seminario di paesaggio, da semplici momenti di raduno di una comunità scientifica ospite e da laboratori temporanei di proposte progettuali sul territorio, si sono trasformati sempre più, in maniera del tutto spontanea, in quanto assolutamente non programmata fin dal suo avvio, in occasioni di scambio e interazione con il luogo e la comunità locale ospitante. Con la successiva edizione dello scorso anno  si è potuto constatare come il workshop fosse diventato ormai un appuntamento percepito come stabile e ricorrente da parte dei cittadini, nei quali crescevano interesse e aspettative rispetto al lavoro e al dibattito che si andava sviluppando. Era in qualche modo stata superata la fase di studio e acquisizione ed era iniziata quella in cui il workshop poteva a sua volta restituire qualcosa al luogo che lo stava ospitando, diventando uno strumento utile per dare risposte a questioni concrete e reali. In pratica, da semplice occasione di incontro e di confronto progettuale di una comunità scientifica fatta di studenti, docenti ed esperti delle discipline del paesaggio, il workshop ha finito per coinvolgere l'intera comunità locale dei residenti e l'amministrazione comunale, acquisendo un ruolo di guida e accompagnamento nei processi decisionali e di programmazione sui temi della progettazione e gestione del territorio.

Il modello che è andato delineandosi in maniera spontanea sembra ricalcare un percorso di progettazione ecologico “a spirale”, che richiama il metodo RSVP (Resources, Score, Valuation, Performance) sviluppato da Lawrence e Anna Halprin (The RSVP Cycles: creative processes in human environment, 1970). L'obiettivo è arrivare alla comprensione del meccanismo di funzionamento del paesaggio nelle sue varie componenti e relazioni, coinvolgendone i vari attori locali.

 

Il workshop e il seminario: luogo, modalità, temi. 

San Venanzo è un comune della provincia di Terni, situato al confine tra Umbria e Toscana. La peculiarità di questo borgo di 2300 abitanti è quella di sorgere sul bordo di quello che era un cratere vulcanico in epoca preistorica, circa 265 mila anni fa all'interno di un'area geologica chiamata dagli esperti “Mar di San Venanzo”. La morfologia del borgo infatti segue e asseconda l'andamento orografico del terreno, modellato da un'attività vulcanica di tipo intrusivo, che ha prodotto una pietra dalle caratteristiche mineralogiche particolari, denominata appunto “venanzite”, estratta e lavorata fin dai tempi antichi. Il legame dell'abitato con la geologia del sito trova un riscontro nel fatto che il territorio di San Venanzo è sede dell'unico parco vulcanologico italiano. Tuttavia questa entità non risulta avere una sua evidenza visiva. Chi arriva oggi a San Venanzo e si aspetta di trovarsi in un parco vulcanologico, di fatto rimane deluso. Gli stessi abitanti di San Venanzo non sembrano riconoscerne il valore e la peculiarità. Per cui esso rimane una risorsa più virtuale che reale, benchè esistano un percorso didattico che si sviluppa all'interno di una delle bocche dei tre vulcani, divenuta poi ex cava di estrazione della venanzite, e un museo vulcanologico localizzato nel piccolo centro storico, adiacente al parco della Villa Comunale.

Dal 2013 il workshop e il seminario sono promossi e organizzati dall'associazione culturale “architetto Simonetta Bastelli” e si svolgono intorno alla metà di settembre. La comunità dei partecipanti, costituita essenzialmente da studenti neolaureati, dottorandi, docenti ma anche professionisti provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo, principalmente architetti esperti nelle discipline del paesaggio, si raduna per 4-5 giorni a San Venanzo e risiede all'interno del piccolo borgo di Poggio Aquilone, una frazione di San Venanzo nelle strutture ricettive messe a disposizione da un albergo diffuso che ha recuperato il preesistente abitato. Qui si svolgono le fasi di lavoro all'interno dei vari gruppi del workshop, ciascuno guidato da un tutor di riferimento. A conclusione dei lavori si svolge una giornata di convegno presso i locali del Comune di San Venanzo con gli interventi di relatori internazionali. Favorito dalla particolare condizione di lavoro il clima è quello di una grande famiglia di 30-40 componenti che condividono saperi e idee, producendo delle proposte progettuali attorno a dei temi.

Il primo anno è stato affrontato il tema del “boschetto” di San Venanzo, una formazione boschiva che occupa il versante opposto a quello del nucleo abitato del paese e che nonostante la continuità fisica con il borgo è stato storicamente considerato il suo “butto”, la sua “discarica”, diventando di fatto il retro rimosso del paese. Le proposte progettuali si sono concentrate sulle possibili modalità di reintegrazione di questo spazio nel tessuto urbano e di riappropriazione di questo brano di paesaggio da parte della popolazione locale. In maniera del tutto imprevista, lo studio affrontato in questa sessione su un'unità specifica e circoscritta di paesaggio come può essere un bosco ha portato alla comprensione di un sistema più ampio di territorio e delle reciproche relazioni tra le sue parti. Il boschetto era infatti solo una “tessera” di un ecomosaico più ricco ed articolato. Era una parte del sistema vulcanologico che aveva dato forma al territorio di San Venanzo e di cui lo stesso borgo con la sua disposizione urbana rendeva conto. Quindi nel 2014 il tema trattato è stato il parco vulcanologico. E cioè come trasformare quello che attualmente è solo un percorso didattico, per altro scarsamente visibile e poco segnalato all'interno della cava di venanzite del cratere del vulcano, in qualcosa di altro e di più rispetto ad un semplice parco, in grado di dare un valore aggiunto al paese, sia dal punto di vista paesaggistico che economico e sociale. Le proposte hanno individuato diverse modalità di intervento: da micro segnalazioni e attrattori diffusi nello spazio pubblico, ad installazioni e dispositivi per incentivare la percezione e la fruizione del parco da vicino e dalla grande distanza, a strategie più di assetto territoriale impostate su percorsi narrativi e nodi critici e spaziali da riconfigurare. Il tema della prossima edizione del workshop 2015, riguarderà il rapporto tra San Venanzo e le varie frazioni del Comune in termini di gestione a rete dello spazio pubblico e dei servizi. In sostanza, è da sottolineare come il percorso costruito in questi pochi anni di attività abbia avuto un andamento crescente, dalla piccola alla grande scala, puntando alla comprensione e progettazione del paesaggio secondo livelli di complessità crescenti, in cui tutte le componenti ambientali, sia naturali che antropiche trovano coesistenza, nesso e relazione, come i meccanismi di un ingranaggio che deve funzionare nel suo insieme.

 

Oltre il workshop. Un documento programmatico

Come accennato in precedenza, l'esternalità positiva più importante del workshop, la sua eredità sia culturale che pratica è stata il coagularsi dell'interesse da parte della comunità locale locale nei confronti delle attività che si andavano svolgendo all'interno dei laboratori, attraverso la partecipazione ai dibatti e ai seminari. In definitiva, si è consolidato un rapporto di fiducia e collaborazione con l'amministrazione cittadina, con la quale è stata avviata un'intesa programmatica finalizzata alla valorizzazione del territorio di San Venanzo attraverso il suo parco vulcanologico. Dopo una serie di incontri tra il gruppo di lavoro, formato dai partecipanti al workshop e coordinato dai tutor e dal presidente dall'associazione culturale “architetto Simonetta Bastelli”, assieme ai rappresentanti dell'amministrazione comunale, si è infatti arrivati a definire un documento programmatico che riordina le proposte progettuali sul parco vulcanologico emerse durante il workshop, facendole confluire all'interno di un progetto strategico di valorizzazione territoriale. Tra i possibili esiti di questo lavoro in itinere presentato pubblicamente nella sua prima fase presso la Casa dell'Architettura di Roma nel marzo scorso, vi è la volontà di precorrere i canali di finanziamento della progettazione europea.

 

*Davide Luca, architetto, è dottore di ricerca presso il Dottorato in progettazione e gestione dell'ambiente e del paesaggio presso l'Università di Roma la Sapienza. Il caso è stato presentato il 19 Aprile ad Artena (RM) nell'ambito della Biennale dello Spazio Pubblico di Roma.

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