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Urbanistica “Peer-to-Peer”

Lunedì 08 Aprile 2013 14:05  |  Teoria  |  

di Redazione

Parte A. Problematiche con le attuali applicazioni urbanistiche

1. L’urbanistica pianificata “dall’alto” non risolve i problemi reali, fornisce piuttosto una visione generica, in quanto non considera tutte quelle specificità locali che vanno a condizionare in maniera significativa i risultati finali. Questo tipo di approccio centralizzato porta inevitabilmente alla distruzione delle strutture esistenti (sia artificiali che naturali), a cui fa seguito la realizzazione di soluzioni senza vita e non adattative.

2. L’acquisto, da parte di imprenditori, di grandi estensioni di terreno, la realizzazione in questi di edifici (residenze, uffici, centri commerciali) tutti uguali, quasi fossero “fatti con lo stampino” ha portato ad uno sviluppo urbano di ampia scala dettato esclusivamente da ragioni economiche. Sul piano teorico, diversi teorici (tra cui Alexander, Duany, Krier, Salingaros), hanno dimostrato come l’attuale approccio “dall’alto” rappresenti un modo errato di pianificare; parallelamente, sul piano pratico, una nuova generazione di urbanisti ha dato prova che la soluzione ottimale per la pianificazione della città e il territorio è quella che include la partecipazione dei cittadini alle scelte e l’utilizzo degli Smart Codes (Codici furbi). L’urbanistica Peer-to-Peer non è pianificata dall’alto: piuttosto, è basata su principi scientifici nonché sull’osservazione della realtà e delle pratiche urbane e canalizza le forze economiche con considerazioni focalizzate sui bisogni umani, in modo da ottenere risultati di gran lunga più sostenibili e maggiormente vantaggiosi, dal punto di vista economico, nel lungo periodo.

3. L’urbanistica attuale spesso esclude i progetti a piccola scala. Gli imprenditori, i proprietari dei terreni, rendono difficile – se non impossibile – per gli “le persone normali” l’acquisto di piccoli appezzamenti di terreno, la costruzione delle proprie case, la possibilità di modificare in base alle proprie esigenze le case e le strade in cui vivono. La perdita delle usanze locali che ne consegue, la sempre minor conoscenza riguardo tecniche e modalità di realizzazione degli edifici tradizionali, fa si che spesso gli abitanti debbano delegare le scelte progettuali ad un architetto ad un costruttore, senza però avere la possibilità di accompagnarlo nelle valutazioni e partecipare alle decisioni. Inoltre, poiché tali professionisti raramente hanno una conoscenza completa e dettagliata del contesto locale (e spesso, sono educati ad ignorare le località) ne deriva spesso la realizzazione di edifici mal costruiti e mal funzionanti. La soluzione a tale problema sta nella diffusione della conoscenza del “buon costruire” a tutti gli operatori del settore delle costruzioni, comprese anche le imprese edilizie.

4. Molti di noi, spesso, hanno grandi idee che però si rivelano poco efficienti dal punto di vista pratico (ad esempio, l’idea di pedonalizzare tutto), ma tutti quanti abbiamo piccole idee che quasi sicuramente potrebbero risultare vincenti (ad esempio, la trasformazione di marciapiedi abbandonati in piccoli giardini, o l’utilizzo di tettoie di protezione dal sole e dalle intemperie alle fermate dei mezzi pubblici, e così via). Anche quando si viene a creare un gruppo di persone che la pensa allo stesso modo, condividendo idee e proposte progettuali, risulta sempre difficile trasformare concretamente i pensieri in azioni. In questo caso, risulterebbe di grande utilità la conoscenza di progetti simili a quelli proposti dal gruppo, che hanno avuto un esito positivo – o che al contrario sono falliti – , ed analizzarne criticamente i motivi di successo o di fallimento. La diffusione delle conoscenze porterebbe alla diffusione dello stato attuale delle buone pratiche urbanistiche, quando la maggior parte della pianificazione dall’alto è ovviamente sbagliata, il mondo accademico è basato su filosofie di pensiero improponibili, e l’idea di sviluppo centrato solo su fattori economici governa, privo di controllo, il mondo odierno.

 

Parte B. definizioni e soluzioni

L’urbanistica Peer-to-Peer rappresenta un modo innovativo di pensare, costruire e restaurare la città, fondato essenzialmente su cinque principi di base:

1. L’urbanistica Peer-to-Peer difende il diritto fondamentale degli esseri umani di scegliere l’ambiente in cui vivere. La scelta individuale seleziona tra le molteplici alternative che generano una città compatta sostenibile, quella che incontra meglio i nostri bisogni.

2. Tutti i cittadini hanno il diritto di accedere alle informazioni riguardanti il loro ambiente, in modo da poter essere coinvolti nel processo decisionale. Ciò è reso possibile ed è attivamente supportato dal ruolo dell’ICT (Information and Communication Technology)

3. Gli abitanti dovrebbero avere la possibilità di partecipare in ogni livello della pianificazione e in alcuni casi, costruire essi stessi la loro città. Essi dovrebbero essere coinvolti in ogni cambiamento del loro ambiente previsto dalle amministrazioni o dagli imprenditori

4. Chi mette in pratica l’urbanistica Peer-to-Peer deve generare e diffondere secondo la filosofia open source conoscenza, teorie, principi, tecniche, e pratiche costruttive per un progetto urbano a dimensione umana, in maniera completamente gratuita, in modo da favorirne l’utilizzo e la revisione critica.

5. I proprietari delle aree edificate devono poter applicare patrimoni in evoluzione di conoscenze, competenze e pratiche, in modo da rendere la strumentazione urbanistica sempre più sofisticata e adattata alla realtà.

 

Discussione


La scomparsa degli “esperti”

Una nuova generazione di teorici della pianificazione ha cominciato a definire alcune nuove regole elementari ed intuitive per l’architettura e l’urbanistica, applicando criteri scientifici e rigore logico. Tali norme sostituiscono le vecchie direttive la cui applicazione ha generato vaste regioni urbane non funzionali nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale.
Studi recenti hanno evidenziato l’importanza della “scala umana” in urbanistica, aiutandoci, inoltre, a trovare le interrelazioni tra correnti di pensiero di diversi movimenti architettonici, quali ad esempio la città delle reti, il design biofilico, la biourbanistica, le abitazioni auto costruite, i codici generativi e il new urbanism, l’architettura sostenibile.
Grazie all’urbanistica “open source”, i vari attori territoriali possono adattare e modificare liberamente, secondo le proprie necessità e convinzioni, le impostazioni teoriche e le pratiche urbane. Si tratta di un approccio partecipativo, basato in modo scientifico e rigoroso sulla analisi dei bisogni umani e sociali, che va a sostituire le pratiche del XX secolo in cui un singolo urbanista “esperto” decideva a priori forma e struttura del costruito in base a regole “segrete” ed inconfutabili, che spesso si rivelavano null’altro che immagini e ideologie. Purtroppo tali regole improbabili sono state definite scientifiche, in quanto basate su criteri funzionalistici, quali ad esempio la realizzazione di infrastrutture volte a favorire la circolazione e la velocità del traffico automobilistico, o la massimizzazione della densità del costruito, a discapito quindi della qualità della vita degli abitanti.

È possibile applicare l’urbanistica Peer-to-Peer tramite una vasta gamma di scenari di attuazione, grazie alla possibilità di utilizzare molteplici livelli e forme di partecipazione dei vari attori territoriali. In genere, l’approccio più “formale” attribuisce la responsabilità di edificare il tessuto urbano a professionisti del settore, che in ogni caso lavorano assieme agli utenti finali per la definizione dei progetti, applicando le linee guida della pianificazione “open-source”. Anche in questo caso, che è il più congruente con le pratiche utilizzate oggi nei paesi industrializzati, il progetto è realizzato in maniera partecipata e collaborativa. È da evitare, tuttavia, la prassi attuale di pianificazione dall’alto, in cui le decisioni sono assunte da un potere centralizzato, interessato solamente a garantire che ogni settore svolga il proprio compito secondo calendari prestabiliti, eliminando quindi ogni stimolo proveniente dall’esterno.

Di converso, l’altra estremità dello spettro dell’urbanistica Peer-to-Peer è da rintracciarsi nella cosiddetta “architettura spontanea” in cui i professionisti, aventi sempre una formazione professionale nel settore dell’urbanistica open source, agiscono prevalentemente a titolo di consulenza nelle scelte effettuate dagli abitanti, che restano quindi i principali responsabili sia della fase programmatica che di quella esecutiva dei progetti.

Di recente i teorici del “new urbanism” hanno sviluppato il codice DPZ, “Duany Plater Zyberk”, ed altre versioni di codici urbani aperti e basati essenzialmente su istanze formali. Tali codici possono essere agevolmente tradotti in regole di edificazione, in sostituzione dei codici modernisti sviluppatesi nel dopoguerra, ormai utilizzati in pratica in quasi tutti i paesi industrializzati. Tali codici sono disponibili a titolo gratuito; il codice DPZ è anche un codice “open source”, in quanto richiede il suo adattamento alla caratteristiche del luogo in cui è applicato; purtroppo molte regioni rifiutano di rivedere i loro codici modernisti, opposti al concetto di “codice furbo”.

L’importanza della scala umana ed il problema del “Fuori scala” in architettura. Il linguaggio dei Pattern come soluzione.
Nel corso della storia, la città a misura d’uomo è stata sempre progettata dagli abitanti stessi in base alle esigenze fisiche e sociali, per consentire i loro movimenti quotidiani e soddisfare il bisogno fondamentali di spazi per la socializzazione. Con l’avvento della industrializzazione, gli architetti e gli urbanisti si allontanano da questi modelli per imporre un tipo di ambiente costruito banale, senza vita, con spazi e dimensioni fuori scala rispetto alle necessità umane. I modelli ergonomici tradizionali sono dimenticati, così come è persa la conoscenza delle regole del “buon costruire” . Da allora, l’obiettivo di una falsa modernità urbana è da rintracciarsi in un enorme fuori scala sterile, un gigantismo visivo senza precedenti.

Le origini dell’Urbanistica Peer-to-peer è da rintracciarsi negli insediamenti spontanei formati da edifici auto-costruiti dagli abitanti: piuttosto che rappresentare una minaccia per l’urbanistica, la partecipazione contiene un ingrediente fondamentale per l’urbanistica a scala umana.

L’Urbanistica Peer-to-Peer è stata anticipata dall’architetto, visionario ed informatico Christopher Alexander nel 1977, nel suo libro sul linguaggio dei pattern (“A Pattern Language”); assieme ai co-autori, Alexander ha fortemente sostenuto il diritto dei cittadini di avere voce in capitolo nelle scelte progettuali, e per tale motivo ha proposto una metodologia open-source: il linguaggio dei Pattern. I Pattern non rappresentano strumenti per giungere ad una definizione ultima del progetto, piuttosto sono dispositivi di lavoro che vanno integrati ed adattati alle esigenze specifiche della comunità e del luogo, in base ad analisi ben precise. Fino ad oggi i Pattern sono stati di grande aiuto per la progettazione urbana principalmente secondo due modalità: 1) come strumenti di diagnosi, per valutare se un progetto – realizzato o semplicemente proposto – è idoneo alle esigenze umane, in base alla sua rispondenza o meno ai pattern inclusi nel progetto medesimo e 2) come strumenti di lavoro che combinati ad una metodologia di design adattativo, contribuiscono a produrre un risultato finale idoneo per il luogo e la comunità interessata. (Occorre ricordare che i pattern non rappresentano di per se una metodologia progettuale, e la loro applicazione è ben descritta in “Principles of Urban Structure”. Inoltre, nonostante la loro intenzione originale di essere un modello “open-source”, i pattern sono rimasti praticamente immutati dalla loro pubblicazione).

 

La progettazione partecipata e le sue premesse

Alcuni pianificatori hanno messo in discussione un tipo di progettazione urbana basata solamente su presupposti razionali, sostenendo piuttosto la necessità di una partecipazione democratica e attiva alle scelte progettuali. Il progetto urbano, quindi, piuttosto che essere interpretato come scienza esatta – tra l’altro applicata in maniera errata fino ad oggi – dovrebbe rappresentare una vera e propria pratica sociale, partecipata ed accessibile a tutti, in cui il progettista dovrebbe necessariamente “sporcarsi le mani” per facilitare il dialogo interculturale, il coinvolgimento dei differenti attori territoriali e l’attuazione dei programmi e progetti.

Spesso, anche nei grandi progetti (esempio, ospedali, aeroporti, ecc.) il disegno è arbitrario e scultoreo piuttosto che funzionale. Questo è uno dei motivi per cui tali edifici, nonostante il loro estremo costo, non sono ottimali dal punto di vista funzionale, o addirittura non lo sono per nulla: spesso la comunità non viene coinvolta abbastanza nella progettazione, né si sviluppano ed applicano pattern opportuni, rendendo tali edifici inefficaci e inefficienti, che vanno quindi a deteriorare piuttosto che migliorare la qualità urbana del luogo in cui sono inseriti.

Spesso, anche nei grandi progetti di architettura il disegno è arbitrario e scultoreo piuttosto che funzionale. Per tale motivo, questi progetti nonostante i loro costi molto elevati non sono ottimali dal punto di vista funzionale, o addirittura non lo sono per nulla. I cittadini, le comunità non vengono coinvolte abbastanza nella progettazione, né si generano ed applicano pattern opportuni, rendendo così i progetti sterili, gli edifici inefficaci ed inefficienti, a discapito della qualità urbana sociale ed ambientale del contesto in cui sono inseriti.

Un altro argomento di riflessione è quello proveniente dall’attivismo urbano e dall’approccio trans-disciplinare all’urbanistica. A tale proposito, alcuni teorici illuminati hanno provato a contestare un tipo di pianificazione e di politiche urbane basate guidate esclusivamente dall’andamento del mercato: superando un approccio puramente fisico e formale al progetto urbano, si sta cercando di evidenziare, piuttosto, le implicazioni politiche e sociali del fare urbanistica. Artisti, designer, progettisti, attivisti, in collaborazione con attori territoriali, stanno ponendo le basi per rivendicare forme alternative di partecipazione democratica alle scelte, quali ad esempio la partecipazione dei cittadini alle scelte di piano e di progetto, e migliorare la qualità della vita urbana.

 

L’importanza del Peer-to-Peer e dell’open source

I recenti sviluppi nel settore delle tecnologie dell’informazione hanno senza dubbio una importante ripercussione sull’urbanistica Peer-to-Peer: grazie a contributi di teorici che stanno identificando nuove soluzioni open-source svincolati dalle restrizioni del copyright, al il movimento del free software e alla rete peer-to-peer, si sono gettate le basi per ridiscutere le fondamenta del pensiero impostato sul concetto di open source. L’idea del “wiki”, congiuntamente alla metodologia del linguaggio dei “Pattern” porta a riflettere su un nuovo approccio al progetto urbano ed architettonico basato su autentiche esigenze umane. Internet, senza dubbio, ha dato la possibilità di realizzare un ambiente open-source, rimettendo così in discussione l’oscurantismo dell’approccio basato esclusivamente sul giudizio degli esperti e i vincoli del copyright che circoscrivono drasticamente sia le possibilità di scegliere che quelle di sviluppo innovativo.
Urbanistica Peer-to-Peer. Una nuova comunità basata sulle pratiche.

Nel XXI secolo i nuovi movimenti architettonici,gli urbanisti socialmente impegnati, i teorici urbani “illuminati”, le comunità virtuali di Peer-to-Peer si stanno unendo per contrastare l’ambiente professionale ed accademico post-moderno, caratterizzato dalla convinzione che pochi ed isolati architetti-demiurghi siano in grado di determinare le scelte e influenzare le dinamiche urbane. La definizione e gli ideali della urbanistica Peer-to-Peer seguono, piuttosto, un approccio dal basso. Tale approccio prende come riferimento i risultati scientifici e i presupposti teoretici dei bisogni biologici e sociali dell’uomo, a cui aggiunge l’esperienza sul campo dei molteplici attori e comunità territoriali (architetti, urbanisti, studi professionali, imprese, operatori sociali, associazioni non governative, eccetera), che quotidianamente si confrontano con i problemi urbani alla piccola scala. L’urbanistica Peer-to-Peer è oggi in continua evoluzione e unisce il progresso tecnologico con l’esperienza in una maniera innovativa, aperta, ed in continua evoluzione.

Al di là delle ovvie implicazioni sociali e politiche, l’urbanistica Peer-to-Peer intende costituire un quadro per lo sviluppo sostenibile dell’ambiente costruito nel modo seguente: la capacità di modellare il tessuto urbano in maniera adattativa permette agli abitanti di partecipare attivamente alla sua crescita. Ciò permette la creazione di un rapporto emotivo tra abitanti e luogo, conferendo ai primi la responsabilità verso il proprio ambiente e la capacità di prendersene amorevolmente cura. Una visione collettiva – se capace di condividere gli ideali e sviluppare una sana diversità – consente di creare le connessioni necessarie con le tradizioni locali vitali e resistere alle forze anti-urbane imposte dall’alto da sistemi di potere disinteressati alle esigenze dei cittadini, alla loro cultura, alle peculiarità del contesto. Spesso, la risposta a tale problemi presuppone il ripensare alle tradizioni locali architettoniche spesso dimenticate o ignorate da progettisti estranei al luogo, le cui soluzioni sono basate piuttosto su un modello industriale generico.

 

Ristabilire la comunità. La lezione degli insediamenti auto-costruiti

Il problema delle abitazioni nel mondo può essere risolto solamente canalizzando quelle stesse forze che danno vita agli insediamenti informali. Le forze dal basso derivano da un bisogno naturale di utilizzare material locali disponibili, di progettare ambienti fisicamente e spiritualmente confortevoli, a misura umana, e soprattutto per tessere un tessuto urbano vivo, capace di alimentare la vita quotidiana per la strada e negli spazi urbani.

L’urbanistica Peer-to-Peer quindi non è solo design, è anche rinforzare e sostenere l’energia degli insediamenti informali, fornendo servizi peer-to-peer di ogni genere. Occorrerà sviluppare anche l’idea di un credito sociale come possibilità per le amministrazioni di riconoscere e valorizzare il capitale sociale degli insediamenti informali. Una comunità che garantisce il supporto ai propri abitanti ed al resto della società dovrebbe guadagnare “crediti sociali” che potrebbero essere trattati come i crediti “verdi” per i materiali da costruzione, infrastrutture, servizi. Tale approccio renderebbe gli insediamenti informali non semplici destinatari delle scelte di governo, ma collocherebbe le comunità in una posizione più forte per negoziare quello di cui necessitano, nei loro termini.

 

Un paradigma biologico

È ormai noto, dopo gli studi di Edward O. Wilson sulla biofilia, che l’essere umano reagisce in modo positivo alle informazioni relative al proprio ambiente, nonché a tipi specifici di struttura complesse quali i frattali. In altri termini, il bisogno di un certo livello di complessità strutturale degli ambienti in cui viviamo non è solo una questione estetica o formale, ma una chiave per raggiungere il benessere psicofisico.

Alexander, ed altri ricercatori che hanno seguito i suoi studi, hanno individuato con precisione quelle strutture generatrici di “ambienti sani”. L’urbanistica Peer-to-Peer è intrinsecamente biologica, nel senso che apprende dalla natura e dai processi viventi, e da questi ne risulta come complemento non intenzionale ai processi di morfogenesi naturale. È impossibile seguire questo processo senza avere a mente il problema della obiettività della scienza ed una visione critica della soggettività, dei bisogni reali dell’uomo, dei suoi obiettivi e dei sui valori.

Una nuova sintesi tra il pensiero consolidato dell’urbanistica architettura e l’urbanistica Peer-to-Peer nasce oggi dal fallimento dell’approccio politico all’urbanistica; tale approccio ci consentirà di pianificare ambienti urbani migliori per il nostro futuro.

 

Definizione redatta dal gruppo di lavoro “Urbanistica Peer to Peer”: Antonio Caperna, Michael Mehaffy, Geeta Mehta, Federico Mena-Quintero, Agatino Rizzo, Nikos A. Salingaros, Stefano Serafini, Emanuele Strano.

 

 

 

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