di Angelo Abbate
Esiste un confine sottilissimo tra un certo modo di concepire l’opera artistica e lo show business della società contemporanea. Non so se sia lecito considerare l’economia folle legata all’arte come pura snaturalizzazione della stessa o, se invece, il circuito delle commissioni milionarie in realtà non riesce ad intaccarne la definizione più aurea; resta il fatto che oggi le botteghe di “fermentazione”, le accademie, sono sempre meno responsabili della fama di un’artista. Ma evidentemente il percorso e la sensibilità di ognuno restano sempre una componente fondamentale imprescindibile dal fare arte.
L’americana Janet Echelman sembra abbia deciso di fare arte dopo essersi laureata all’Università. Prima si trasferisce a Hong Kong per studiare calligrafia cinese e pittura a pennello e poi a Bali, in Indonesia, dove collabora con artigiani per combinare metodi tradizionali tessili con la pittura contemporanea.
Dopo che la sua casa di bambù a Bali brucia per un incendio, torna negli Stati Uniti ed inizia ad insegnare ad Harvard. Ma è durante il suo secondo trasferimento in Asia che Janet scopre la sua concezione di scultura. Sembra che l’“illuminazione” l’abbia ricevuta guardando dei pescatori che impacchettavano le proprie reti la sera. Pensò a sculture leggere dalla superficie delicata modellata dal vento e iniziò a lavorarci in collaborazione con gli stessi pescatori del posto. Da lì in poi le sue nuvole di rete sono state installate in diverse città del mondo generando stupore ed ammirazione nei passanti e tra i curiosi. L’altro aspetto interessante del lavoro di Janet è nella sua idea di arte pubblica, dove l’opera nasce come collaborazione tra diverse figure di professionisti e gente comune del luogo di installazione. Ma è lo scorso anno, in occasione del vicino trentesimo anniversario delle conferenze TED, che la fondazione non-profit organizzatrice le propone di realizzare un’opera che impressionerà visitatori provenienti da tutto il mondo. Ed infatti poche settimane fa una scultura leggera e maestosa di quasi 230 metri di lunghezza si è fusa con il cielo del centro di Vancouver. L’eterea costruzione denominata “Unnumbered Sparks”, che di giorno fluttuava elegantemente sopra le teste dei passanti, la sera si trasformava in qualcosa di straordinario e spettacolare generando curiosità ed interesse. Janet, grazie ai contatti forniti dal direttivo TED, ha collaborato con l’artista digitale californiano Aaron Koblin oltre a ricevere supporto tecnico ed economico da team tecnici specializzati come il Google Creative Lab e l’Autodesk. Il risultato è stato impressionante. Dopo il tramonto l’elegante rete sospesa tra le fredde architetture del quartiere direzionale della metropoli canadese diventa una scintillante nuvola poliedrica animata e sollecitata da chiunque abbia installato sul proprio dispositivo mobile un’applicazione appositamente creata. In pratica con un semplice gesto sullo schermo del proprio smartphone è stato possibile per tutti i visitatori generare in prima persona le decorazioni luminose sull’enorme scultura aerea. Il fascino di questo prodotto artistico a scala urbana deborda i confini dell’estetica arricchendosi di simultanee imprevedibili collaborazioni: il vento e i passanti amplificano la propria presenza manifestandosi in una miriade di increspature e di comete, di riflessi e di colori che animano la notte della piazza.
Quello della Echelman rappresenta senz’altro un intervento artistico urbano dal forte impatto positivo anche se la sua azione si è consumata in un’ambiente dai connotati materialmente contemporanei. È difficile immaginare per le incursioni creative degli effetti dannosi in luoghi di generazione industriale, sarebbe interessante capire invece quanto positivo possa essere un certo genere di interventi su un tessuto urbano storico bisognoso di rivitalizzazione. Funzionerebbe come nodo energetico della teoria dell’agopuntura biourbana?
Per approfondimenti:
http://www.unnumberedsparks.com
http://www.echelman.com/project/skies-painted-with-unnumbered-sparks/