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Il mulino di Aquara e il sistema territoriale p2p

Giovedì 09 Gennaio 2014 13:00  |  Strategia, sviluppo  |  

di Redazione

Aquara, piccola città in provincia di Salerno, facente parte della Comunità Montana Alburni, con una popolazione che dagli inizi degli anni ’50 si è andata dimezzando (oggi conta circa 1500 abitanti) è un esempio di sviluppo territoriale “pari a pari” e dal basso.

Antichissimo centro di fondazione greca accolse gli influssi di diverse civiltà italiche, dagli Etruschi ai Sanniti, prima di divenire romana. La abitarono Goti, Bizantini, Longobardi, persino i Saraceni; poi divenne Normanna. Passò di mano in mano a diversi casati, e nel 1504 fu creato suo Signore Ettore Fieramosca da Capua. A testimonio di un’indipendenza civica importante i feudatari della città ebbero a confrontarsi più volte con la locale università che deteneva diritti sull’acqua e la dogana, nonché giurisdizione su pesi, misure e battitura di moneta.

Aquara non si è mai industrializzata, e sebbene l’urbanesimo le abbia strappato tanti abitanti, non si è arresa a un declino definitivo. Anzi, la vocazione agricola del paese si è intelligentemente sviluppata nel senso di una qualità radicale, mantenendo la base dell’economia locale.

Nel suo piccolo territorio Aquara riesce oggi a produrre un ottimo olio d’oliva certificato DOP, a vinificare il DOC Castel San Lorenzo e lo IGT Paestum, e a difendere una secolare arte molitoria, testimoniata dalla presenza di ben sette antichi mulini ad acqua ormai dismessi.

Oggi è rimasto un solo produttore di farina, il mulino Alburni, fondato negli anni ’50. Come i produttori di olio e di vino, anche questa azienda ha mantenuto la tradizione locale perché ne ha saputo comprendere lo spirito, sviluppandosi perciò in maniera “lenta” e territorialmente integrata. In tal modo ha saputo accrescere un valore qualitativo importante, che le ha aperto un mercato specifico.

Diciamo subito che non si tratta di un “mulino bianco” (quello che esiste soltanto nella pubblicità), ma di una moderna macchina a sei rulli, che a parità di sofisticazione si differenzia dai concorrenti per il tipo di macinatura, che avviene a pietra. I chicchi di grano vengono cioè sfarinati per sfregamento, come nelle antiche realtà artigianali. Questo significa che la farina prodotta è integrale, non subisce surriscaldamento come nei procedimenti industriali, e mantiene le caratteristiche che metodi più veloci le farebbero perdere, come ad es. la migliore digeribilità, alcuni sali minerali, e il basso indice glicemico che la rende tollerabile a molti malati di diabete.

Naturalmente un macchinario del genere non può garantire grandi quantità produttive, e il suo costo di gestione è più elevato di quello standard. È perciò che i mulini a rullo sono stati soppiantati in quasi tutta l’Italia moderna. Dal punto di vista del consumo di massa quella della Alburni sembrerebbe dunque una scelta perdente. Eppure, grazie al contesto locale, la decisione di mantenere il vecchio metodo di macinatura si è rivelata una mossa strategica. L’azienda si è infatti così inserita in un sistema di prodotti tipici di grande qualità che si rinforzano a vicenda, dando lustro al territorio e attraendo un mercato di nicchia che non ha concorrenti nella grande produzione industriale. Gli estimatori del cibo buono e sano, dal contadino cilentano all’uomo di affari americano appassionato di “organic food”, rappresentano un mercato interessantissimo al quale i nostri borghi possono rivolgersi. Al contrario, sarebbe ben difficile, anche con le macchine più aggiornate, resistere allo scontro con i colossi delle farine industriali sul loro stesso terreno.

Seguendo questa logica il mulino Alburni ha deciso anche di garantire la tracciabilità del prodotto secondo la normativa CE 178/2002, rifornendosi unicamente del grano particolarmente pregiato e certificato “bios” proveniente dal Cilento e dalla Piana di Paestum. Non dovendo inseguire grandi ordinativi, la società non deve preoccuparsi di fare incetta di grandi stock dal Nord Africa o dall’Ucraina, contribuendo in tal modo anche ad evitare i costi economici ed ambientali del trasporto, e aiutando l’economia locale.

Se il costo per l’azienda risulta un po’ più alto, il risultato in termini di mercato è decisamente positivo. Ma quel che più conta è la ricaduta territoriale di tale politica. È infatti il territorio il primo cliente del mulino, e distribuire ricchezza là dove si trovano i propri clienti equivale a concimare il terreno presso il quale si semina, con effetti sistemici a lungo e medio termine. La logica del mulino Alburni insomma, riecheggia un atteggiamento favorevole al proprio prossimo sia sulla corta distanza geografica che sui lunghi tempi sociali.

La tracciabilità della farina è inoltre fondamentale affinché anche i produttori locali di prodotti dolciari e da forno, o chiunque utilizzi farine, possano a loro volta valersi della relativa certificazione senza la quale si rischia la sospensione commerciale all’interno dell’Unione Europea, e l’immediato ritiro dei prodotti già distribuiti. Il locale apre le porte al globale.

La farina prodotta da questo mulino antico e moderno arroccato su un borgo millenario è certificata biologica, perché prodotta con cereali esenti da ogni contaminazione, addirittura consigliati per chi è affetto dalle malattie favorite dalle sostanze conservanti e antiparassitarie contenuti al giorno d’oggi dalla maggioranza dei cereali. Biologica significa anche che la farina deriva da un’agricoltura a basso consumo di energia ausiliaria come concimi chimici e procedimenti industriali di massa, la quale si avvale della conservazione della sostanza organica del terreno e mantiene un profilo di basso impatto ambientale. La cura della qualità, e quindi del relativo mercato, si intreccia ancora una volta con la cura per il sistema all’interno del quale avviene la produzione, con effetti a cascata e a lungo termine.

Il successo di questa visione aziendale – un’azienda che non aspira a diventare una multinazionale, ma vuol vivere bene nel suo territorio, aiutandolo – è stato tale che, per incentivare la coltivazione del grano locale il mulino Alburni ha fatto sistema con l’unica banca di Aquara, il Banco di Credito Cooperativo. Il mulino si impegna a ritirare tutto il grano prodotto dai coltivatori locali che rispettino le indicazioni di genuinità, e insieme al Banco di Credito Cooperativo, che ne versa altrettanti, a fornire un incentivo economico di 3 euro per ogni quintale prodotto. L’iniziativa è stata battezzata “Chi semina raccoglie”.

Aquara dimostra che l’arretramento del pubblico può in qualche modo venir soppiantato dall’intelligenza dei “commons” sia sul piano produttivo che su quello sociale. La chiave di volta risiede probabilmente anche nelle piccole scale sociali e urbanistiche a misura di comunità, caratteristiche dei centri minori. E nel desiderio di buona vita.

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