di Stefano Serafini
Chi è Marco Casagrande, l’architetto, artista e pensatore finlandese (di origini genovesi) che ha sorpreso il mondo delle archistar vincendo il prestigioso European Prize for Architecture 2013. Con l’amore per la vitalità delle rovine, il richiamo della natura, e l’agopuntura per le città.
«Gli architetti non contano nulla, sono corrotti. L’architettura, semmai, conta. Gli architetti dovrebbero limitarsi a servire la vita. Imparare ad ascoltare la creatività che scorre attorno a loro». Siamo nel borgo storico di Artena, in provincia di Roma, nel corso della Summer School in Neuroergonomics and Urban Placemaking organizzata dalla Società di Biourbanistica lo scorso luglio. 40 partecipanti – giovani designer, architetti, urbanisti, giunti da 16 Paesi – ascoltano affascinati l’inglese sibilante di Marco Casagrande che li istruisce sulla “guerriglia biourbana”. Indica tre bambini di 7 o 8 anni che giocano indisturbati accanto al gruppo. Corrono su e giù tra una piazzola di cemento e un vicolo in pietra, arrampicandosi oltre un parapetto di ferro. È effettivamente chiaro che essi abitano un luogo, sul quale la progettazione urbanistica è calata come una griglia esterna, e che giocando lo rivelano, riportandolo in vita. «È questa la conoscenza locale che dovete imparare a recuperare, non quella delle riviste o dell’accademia».
Finlandese con radici italiane (il bisnonno ligure costruiva giocattoli per un circo ebreo che oscillava fra il Baltico e Odessa), 42 anni, Casagrande è un filosofo dell’urbanistica, oltre che artista e architetto. Ha pubblicato fra l’altro su Domus e Architectural Review, e ha insegnato all’Università di Helsinki. Ma la sua visione lo oppone alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi e allo spirito dell’arte contemporanea, che considera troppo fine a se stessa. Le realizzazioni di Casagrande sono pozzi che cercano di attingere alla realtà per irrigarvi di nuovo la nostra esperienza, inaridita dall’ego moderno. Dimenticando il proprio io ci si svincola dal dominio della società dello spettacolo che trasforma ogni espressione in velo, anziché in disvelamento. I lavori di Casagrande come Land(e)scape (1999), Sandworm (2012) o il recentissimo Oystermen (2013), strumentalizzano la lezione surrealista, la lezione di Tarkovskij, ma non si perdono nell’inconscio e nel caos. Nel mare dei segni, una bussola biologica orienta l’artista verso il porto della natura, della contemplazione, del piacere, della socialità, condivisa con chi osserva e vive le sue opere.
Anche l’architettura e l’urbanistica, perdendosi nell’immagine e nella funzione economica, hanno finito per sostituire la realtà, costringendo la vita di miliardi di esseri umani in termitai industriali prima, e ipertecnologici dopo. Da lì il viaggio di ricerca di Casagrande che lo porta per i villaggi dell’Eurasia, negli slum di Taiwan, nell’Oriente ipercapitalista dove alle mostruose megalopoli pianificate, i poveri si adattano come l’erba nelle crepe dell’asfalto, occupando e trasformando edifici abbandonati secondo una logica di sopravvivenza che riporta la natura laddove era stata scacciata. Le rovine, che s’insinuano inarrestabili nella civiltà urbana ispirata alla macchina, mostrano come le forze stesse della fisica collaborino a riportare l’architettura a dimensioni consone alla natura umana.
Il volume di Casagrande appena pubblicato Biourban Acupuncture. Treasure Hill of Taipei to Artena (Roma, International Society of Biourbanism), è dedicato al caso esemplare di un piccolo insediamento illegale nell’isola di Taiwan, Treasure Hill. La popolazione locale ha ingegnosamente eretto spazi liquidi, organici, intrinsecamente refrattari al controllo, che permettono loro di vivere ai confini della civiltà, in equilibrio col fiume che fornisce acqua e cibo. Osteggiata dal governo, che la assedia prima con la polizia, poi chiudendo gli argini, e inquinando il fiume, la città cederà infine agli hipster che ne ammirano l’estetica, e la trasformano in un luogo di discoteche e design. Il popolo di Treasure Hill si sposta altrove, lascia soltanto un guscio vuoto, ma la lezione è appresa. La sapienza organica è ovunque, risorge continuamente. Il libro confronta Treasure Hill ad Artena, l’antico borgo laziale simbolo del movimento internazionale della biourbanistica. Casagrande vede in tali insediamenti il nostro arcaico futuro, non nel senso di una ripetizione del passato, ma di quella costante tensione dinamica verso il principio stesso del fare spazio socio-naturale, nel corso dei cicli fallimentari della tecnica. La Città di Terza Generazione non si realizza attraversi grandi interventi, ma dal basso, attraverso manipolazioni puntuali (agopuntura biourbana), progettazioni libere e condivise da cittadini, nomadi, e la natura stessa.
Le città di seconda generazione nelle quali viviamo, sono estranee a chi le vive, e inadeguate al dispiegamento della creatività e della libertà umana, perché improntate al modello della macchina. Non sono adatte ai bambini, né agli anziani; sono ostili ai nomadi e agli indigeni. La loro inevitabile decadenza non avviene per rivoluzione ideologica, ma secondo natura. La rovina industriale, la corrosione del ferro e del cemento, l’implosione e l’ingovernabilità di complessità gerarchiche rigide, sono i processi organici attraverso i quali la città attuale si avvia alla generazione nuova, all’interazione equilibrata fra la natura e gli esseri umani, fra la realtà e la progettazione.
Lo scorso settembre, durante la 14ma Biennale Internazionale di Architettura di Buenos Aires Casagrande è stato insignito dello European Prize for Architecture, il massimo riconoscimento che il vecchio mondo tributa ogni anno a un architetto. Una mostra speciale dei suoi lavori muoverà poi dall’Argentina per un tour paneuropeo, che avrà inizio dal cuore oppresso del nostro continente, la Grecia. Cultura viva vuol dire speranza.
Pubblicato dalla Rivista Area, Ottobre 2013, pp. 50-51 con il titolo editoriale "L'architettura salverà il mondo".