di Stefano Bartolini
Negli ultimi anni si è rapidamente sviluppata la c.d. ‘scienza della felicità’, che ha coinvolto tutte le scienze sociali. L’attenzione scientifica per il tema del benessere è stata innescata dalla evidenza, solidamente documentata da un punto di vista statistico, che nel 2° dopoguerra in Occidente la soddisfazione che gli individui provano per la propria vita non ha registrato miglioramenti significativi, nonostante la rilevante crescita economica. Il disagio documentato coinvolge ampiamente anche i bambini ed i giovani, il cui benessere sembra registrare tendenze persino peggiori di quelle degli adulti.
Gli studi suggeriscono che la causa principale di queste deludenti tendenze del benessere è da ricercarsi nel peggioramento delle condizioni relazionali della vita individuale. Mi riferisco al deterioramento delle relazioni intime e sociali. I vari indicatori segnalano infatti un aumento della solitudine, delle difficoltà comunicative, della paura, del senso di isolamento, della diffidenza, della instabilità delle famiglie, delle fratture generazionali, una diminuzione della solidarietà e della onestà, un peggioramento del clima sociale.
La ricerca ha anche individuato delle terapie per la malattia relazionale che affligge i paesi occidentali, evidenziando che esiste una costruzione sociale del malessere. Sono stati dunque individuati vari aspetti della azione sociale che possono condurre alla costruzione di una economia ed una società più attenta alla dimensione relazionale della vita. L’organizzazione territoriale ha un ruolo rilevante nel determinare le condizioni relazionali in cui gli individui vivono e questo ha particolare rilievo nel caso della vita urbana.
I cardini di una organizzazione relazionale delle città sono la riforma dello uso dello spazio e dei trasporti. Nel seguito discuto il primo punto, lo spazio.
Le relazioni richiedono prima di tutto spazi comuni di buona qualità. Ci sono beni fondamentali per le relazioni che nessuna crescita economica ci potrà dare. Quello che serve sono interventi immediati nel paesaggio urbano: sono le zone verdi, le piazze, le aree pedonali di qualità, i centri sportivi.
L’ambiente urbano deve consentire di incontrare vicini e sconosciuti in spazi pubblici attorno alla propria casa. Un quartiere occupato da spazi privati ma con pochi spazi pubblici, sporchi e sovraffollati oppure deserti ostacola le relazioni. Questo è vero anche nella migliore delle ipotesi, quella in cui gli spazi privati non siano anonimi casermoni ma giardini privati ben curati. Quello che bisogna costruire è un senso di realizzazione, di appartenenza e valori condivisi e questo necessita di spazi pubblici di buona qualità.
Le città europee sono state originariamente costruite intorno a una piazza. La piazza era il luogo di incontro per eccellenza di tutti i membri della società, qualsiasi fosse il loro rango. Era il luogo delle relazioni umane. Per molto tempo le città si sono lentamente espanse costruendo i nuovi quartieri intorno a nuove piazze. Una proporzione ragionevole tra spazi pubblici e privati non si è però mantenuta nella rapida accelerazione dell’espansione urbana seguita in Italia al II dopoguerra. Le costruzioni private si sono moltiplicate e gli spazi pubblici di incontro sono divenuti sempre più scarsi. Se consideriamo che secondo gli urbanisti le persone sono disposte a percorrere solo tre isolati a piedi per andare al parco del quartiere, nelle nostre città un bambino non dovrebbe crescere a più di tre isolati da un parco. Invece il modo in cui sono stati costruiti le periferie popolari o anche residenziali in molte città italiane legittima la domanda: che cosa fa un bambino che ci vive nelle domeniche o nei pomeriggi liberi? Dobbiamo cominciare a considerare i parchi e i centri sportivi non come un lusso, ma come una necessità essenziale, simile a un ospedale o a una scuola.
Lo spazio pubblico pedonale di qualità serve a compensare almeno in parte le disuguaglianze di reddito e riduce drasticamente quelle generazionali. Una strada pedonale o un parco possono offrire più benessere di un aumento dei livelli di consumo individuali. Gli esseri umani hanno bisogno di camminare e di stare in mezzo alla gente. Potremmo anche passare tutta la vita rinchiusi in un appartamento, ma per essere felici abbiamo bisogno di camminare e poterci incontrare.
I grandi centri commerciali si stanno progressivamente affermando come spazi relazionali. Gli USA, dove essi sono ormai da tempo punti di riferimento per passare il tempo libero, ci hanno mostrato l’es. da non seguire. Infatti i centri commerciali sono delle zone pedonali in cui un bambino non corre nessun pericolo quando lascia la mano della madre. Ma si tratta di spazi privati in cui l’assedio commerciale circonda le occasioni relazionali. La possibilità relazionale è inserita nel contesto di una ossessiva stimolazione del possesso. Questo crea esclusione, quella di chi può acquistare poco o nulla. Inoltre i negozianti ovviamente non sono particolarmente interessati a far costruire delle panchine per permettere alla gente di fermarsi a fare due chiacchiere. Lo spazio pubblico dovrebbe offrire ciò che offrono i centri commerciali, ma all’aria aperta, con gli alberi, il cielo e gli uccelli, con un’integrazione sociale più ampia, con più panchine e meno pressioni commerciali.
Tutte le città hanno il mare, un lago, un fiume, un ruscello o almeno dei canali di drenaggio per l’acqua piovana. Sono gli spazi ideali per la creazione di parchi lineari che attraversino diversi settori della città. Per alcuni spazi pedonali non serve nessun investimento pubblico. Le chiusure domenicali al traffico offrono ampio spazio pedonale a costo nullo. Si tratta di forme di organizzazione relazionale più sofisticate di quelle consuete. Ad es. quasi tutti sospendono il lavoro durante il fine settimana, prendono le vacanze nello stesso periodo dell’anno, le famiglie tendono a riunirsi alla stessa ora per i pasti. Queste sono forme tradizionali di organizzazione relazionale nel senso che permettono a chi lo desidera di passare il tempo libero insieme. Restituire le città al loro senso originario di centro di aggregazione richiede di estendere le forme di organizzazione relazionale.
L’accesso allo spazio è sempre stata una questione cruciale nella storia umana. Nelle società rurali il problema era l’accesso alla terra ed ha assunto la forma della questione agraria. La questione dello spazio urbano è l’equivalente contemporaneo di quella che è stata la questione agraria nelle società rurali. Solo che la soluzione non è in questo caso ‘la terra ai contadini’, cioè la redistribuzione in modo più equo della proprietà fondiaria. Per lo spazio urbano contemporaneo la soluzione principale è lo spazio pubblico.
Si ringrazia il professor Stefano Bartolini per l'autorizzazione alla ripubblicazione di questo contributo originariamente apparso sul blog del Dipartimento di Economia Politica dell'Università di Siena.