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Da Artena a Favara: primo riconoscere il valore

Lunedì 26 Maggio 2014 14:02  |  Editoriali  |  

di Angelo Abbate

“Prendi la foto di un cortile scattata nel ventre di uno tra le migliaia dei centri storici italiani, mostrala lontano dai confini nazionali ad una qualsiasi persona con un minimo di passione culturale, e ne rimarrà affascinata". Questa osservazione di un amico fotografo racchiude la consapevolezza del tesoro di civiltà conservato, spesso con incuria e disinteresse, nel cuore dei piccoli centri antichi del Bel Paese.

Una ricchezza tanto evidente che il malcostume mortifica e la burocrazia appesantisce, ostacolando i processi biourbanistici verso una città di terza generazione, come la definisce Marco Casagrande. Mentre cercano rigidamente di arginare gli interventi distruttivi sul territorio, riuscendoci poco e male, le pachidermiche strutture istituzionali paralizzano i processi positivi, demotivano e scoraggiano gli ultimi operatori di conoscenza locale, come contadini, artigiani ed allevatori che potrebbero allearsi alla forza rigenerativa della Natura per ricreare le condizioni che hanno originato tanta bellezza.

Quindi il nostro territorio è spacciato? C'è qualcosa che ancora si può fare piuttosto che congelare e "vincolare" facciate e chiese?

Una risposta in qualche stradina lastricata di sassi lucidi qualcuno sta provando a darla. Artena, piccolo centro urbano incastonato su un crinale dei monti Lepini a sud di Roma, sta mettendo in pratica il pensiero biourbanistico innescando una serie di progetti, attività e processi rivitalizzanti.

La Summer School in neuroergonomia, la sede italiana della Ruin Academy (la prima è a Taipei), tutte le decine di micro interventi del Progetto Artena costituiscono tappe di un percorso intrecciato con la salvaguardia della bellezza del territorio. 

Un'altra realtà italiana di riscatto territoriale è Favara, vicino Agrigento. Anch’essa un borgo meraviglioso fatto di stradine e cortili abitati da famiglie di origini perlopiù umili, popolazione che con l’arrivo del boom edilizio nella seconda metà del Novecento ha abbandonato quei luoghi "scomodi" per trasferirsi nelle nuove aree residenziali. Così è stato anche per quei sette cortili che compongono il cortile Bentivegna ma che oggi sono il cuore pulsante di una magnifica realtà: il Farm Cultural Park. In questo luogo i sogni e le ambizioni del notaio Andrea Bartoli e di sua moglie Florinda Saieva si sono concretizzati in una kasba ricca di giardini e di profumi mediterranei dove arte e cultura vivono in ogni angolo dell'abitato. Quando, diversi anni fa, i coniugi Bartoli decisero di trasferirsi da New York nel piccolo paese di origine di lei Favara aveva raggiunto il picco negativo per degrado ed abbandono; il prezzo sul mercato immobiliare era diventato modestissimo e a seguito di un tragico collasso molte case erano state dichiarate inagibili dal comune. Oggi quegli stessi cortili ospitano spazi adibiti a mostre e istallazioni artistiche; aperitivi, barbecue, mercatini vintage e atelier per adulti e bambini animano quotidianamente gli spazi con un continuo brulicare di persone allegre, interessanti ed interessate. Una sola coppia di persone sono intervenute con tutte le proprie energie sull'urbanistica di una città morente, hanno cercato collaborazioni umane e non istituzionali, hanno recuperato con le attività e non con il cemento, hanno messo la cultura e la vita al centro, e hanno vinto.

Per approfondimenti: www.progettoartena.com www.farm-culturalpark.com

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