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Quattro domande al maestro Misheff

Giovedì 16 Ottobre 2014 22:00  |  Arte  |  

di Angelo Abbate

Il Maestro Alzek Misheff (Dupniza, Bulgaria 1940), pittore e musicista che vive e lavora in Italia dal 1971, è stato indicato da Bonito Oliva come uno dei trenta artisti più rappresentativi d'Europa. Ha appena esposto la sua personale "Ritratti di milanesi - 30 anni dopo". Lo abbiamo intervistato.

 

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Il suo ultimo progetto "Ritratti di milanesi - 30 anni dopo" ricalca l'intuizione, in tempi non sospetti, della diffusione delle reti sociali. Ma la sua rete, molto più fisica e reale, filtra senza impoverire l'utente grazie al linguaggio dell'arte. Secondo lei esistono i presupposti per un social network a larga scala che sfrutti i progressi tecnologici senza smaterializzare oltremodo l'essere umano?

 

- Più che una intuizione era una prova, un’ avventura per vedere  cosa succede  se l’ arte, intendo gli originali dei volti dipinti,   si espande con, ma anche senza, i mezzi  di comunicazione. Erano 1336 ritratti su una superficie di 5400 mq. Non ragionavo in termini di rete, e credo che non fosse in uso questo termine. Ero interessato alla manipolazione  che i mezzi di comunicazione esercitavano potendo deformare una qualsiasi notizia, evento, titolo. Anche il più futile e paradossale. Bastava che lampeggiasse come un’insegna al neon.  A proposito, due anni prima, nel 1982 avevo realizzato  alla lettera un titolo “Attraversare Atlantico a nuoto”. Ho nuotato da Londra a New York per cinque giorni nella piscina del transatlantico Queen Elizabeth II.

Lei dice che la mia “rete” di allora filtra senza impoverire l’utente grazie al linguaggio dell'arte. “Ma  quale arte?” mi ero chiesto nel 1984... Per “blindare” l’evento e proteggerlo dalle manipolazioni (per la “Traversata”  il settimanale Panorama  aveva titolato “Zitto e  nuota” alludendo ovviamente ai gesti e comportamenti delle  pratiche e stravaganze delle avanguardie) scelsi la cosa più tradizionale, il volto.  E scrissi sopra  “Dite a ...” (nome e cognome di quel volto), e sotto  semplicemente: “che il suo ritratto è qui”.  

Invece la smaterializzazione iniziò molto, molto prima. Credo sia iniziata con la velocità dei trasporti, con le grandi distanze e lo spostamento enorme delle merci.  “Dinamismo” è ancora la parola d’ordine oggi.

 

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Nel suo percorso artistico e di vita lei ha sondato lo stretto rapporto musica-pittura-natura. I suoi progetti, trovo, hanno sempre una forte componente "naturale" come se l'arte non potesse prescindere dagli elementi primitivi. Volendo sottintendere in questo un profondo legame con la realtà, questo rapporto può essere interpretato come denuncia-pretesto o, più semplicemente, rappresenta l'irrinunciabile necessità di reale nell'arte?

 

- Di reale nell’arte. Credo che esista una naturale predisposizione, forse anche necessità dell’uomo di imitare la natura e copiare in genere. Almeno in due modi. Uno, più diffuso, è l’imitare il suono, l’altezza del suono. Pochissimi non riescono, sono stonati, ma tutti gli altri sono capaci, lo sentono. Quando l’uomo copia il suono o la frase sonora, non ha tempo di pensare a sè, ascolta quello che viene e come viene, perchè sa che gli altri percepiscono esattamente come lui. Allora “copia bene“ ed è capace ad esprimersi bene anche.

L’altro, meno diffuso e forse meno sviluppato a livello antropologico, è il poter copiare quello che si vede. Forse per questo Leonardo elogiava così tanto la vista, l’occhio.  Fin dall’antico Egitto conosciamo i famosi  “Ritratti di Fayyum”  così  diversi uno dall’altro per i tratti somatici, così “veri”e  realistici  che supponiamo fossero anche somiglianti. Come sempre oggi  chi ritrae sa che il volto, se somiglia, somiglia oggettivamente, per tutti, e davanti a tutti esattamente come il suono di chi è intonato o di chi non lo è.

 

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Sono molto noti i suoi interventi a favore di un'economia dell'arte contemporanea che demolisca l'alienante sovrastruttura del mercato imposta dai critici d'arte, un sistema diretto che metta nuovamente in rapporto esclusivo l'artista con il committente. Tutto ciò ridefinisce in qualche modo anche l'idea di museo dove l'opera decontestualizzata diviene quasi di "seconda mano". Reputa che possa essere questo un probabile "effetto collaterale"?

 

- Per il momento questa posizione è molto poco “efficace”, ma sto facendo progressi e la crisi economica paradossalmente è di aiuto. I musei ci sono e debbono esistere, a differenza di come la pensava  Marinetti, ma musei distanziati almeno 100 anni dall’opera. Non debbono esistere musei d’arte contemporanea, io da anni non ci  entro, nemmeno in una chiesa moderna... 

Ho visto recentemente Segantini a Milano e con grande interesse, vedo sempre le meravigliose ceramiche figurative di Fontana, ma mai e poi mai mi sono fermato davanti i suoi tagli, anche un terzo di secolo fa quando ancora ero considerato un’artista delle avanguardie europee... mi sono pentito da molto tempo ormai.

 

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Infine vorrei chiederle circa la bellezza. L'arte la insegue da sempre, fin dalle primordiali pitture rupestri, ma dalla seconda metà del secolo scorso, in più di qualche caso, si ha l'impressione del contrario. Potrebbe essere questo un'altro effetto di una disumanizzazione dell'arte?

 

- La disumanizzazione della vita è iniziata con il progetto dell’uomo nuovo. Altre persone più preparate se ne sono occupate, e da molto tempo. Se non sbaglio Galileo credeva che la scienza e gli uomini debbono  capire la natura ma non dominarla, di non cambiarla ma assecondarla. Non so esattamente quando è iniziato tutto questo nell’arte, ma forse uno degli esempi possiamo trovarlo ancora in Michelangelo dove l’uomo e Dio si toccano. Poi c’è stato Lutero, poi gli Illuministi francesi. Poi Marx, poi “gli ingegneri dell’anima umana" sovietici o tedeschi...  Poi Marcuse che pensa alle minoranze al comando...  Ma prima ancora si susseguivano cose strane sia nella letteratura della fantascienza che nell’architettura abitativa e di rappresentanza dove tutto è ancora oggi orientato nello stile e nel contenuto per stazioni di presunti extraterrestri... L’estetica di Mazzinga... Altri parlano del kitch che ha vinto...    

  E la bellezza... Forse oggi è  meglio astenersi e non creare in senso moderno, dove la regola è che il singolo si deve esprimere ad ogni costo; coerente con ciò Stockhausen pensava al crollo delle due torri gemelle, secondo lui, la più grande opera di tutti i tempi.

Nel mio fare giornaliero, senza dubbio modesto, penso che convenga copiare anche dal vivo,  in arte e in architettura, cercare di capire e guardare il più possibile indietro, conviene a tutti non dimenticare.

Forse è esagerato ma ho la sensazione che gli uomini, per riconoscere la bellezza, perchè “vera” e “intonata” e “oggettiva” debbano convincersi che noi siamo sempre gli stessi, gli uomini di sempre. E non uomini mutanti in progress. Non so se è possibile: oggi, in tutte le loro attività, uomini e donne vogliono essere extraterrestri.

 

Immagine: Ritratti di milanesi - Ritratti del Fayyum

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