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La prospettiva della complessità nello studio dei sistemi urbani

Lunedì 08 Aprile 2013 14:37  |  Teoria  |  

di Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio

La città è vista, in questi ultimi decenni, come un sistema complesso. Al tempo stesso, ogni città interagisce con altre città, come è naturale che accada in un mondo globalizzato. In altre parole, ogni città è parte di una rete di città. La rete di città è vista anch’essa come un sistema complesso.

La prospettiva della complessità ha ispirato nuove metodologie per lo studio della città, come i modelli che utilizzano gli automi cellulari (cellular automata) e i cosiddetti modelli ad agenti (agent-based models). Modelli molto più semplici dal punto di vista delle tecniche matematiche utilizzate, rispetto a quelli realizzati secondo i metodi tradizionali. Modelli che, tuttavia, sono riusciti a spiegare fenomeni che prima apparivano inspiegabili.

 

Il modello di Schelling che spiega la comparsa della segregazione urbana

Uno fra i primi modelli che utilizza in termini ancora elementari i concetti di automa cellulare e di agente, fu concepito alla fine degli anni sessanta da Thomas Schelling, per spiegare la comparsa di aree di segregazione urbana: i ghetti.

Il modello considera un territorio astratto, chiuso, diviso in celle quadrate, nel quale sono insediate due popolazioni, una di bianchi l’altra di neri, disperse sul territorio. Alcune celle sono vuote, tutte le altre sono abitate da un individuo. Il colore della cella indica il colore dell’individuo che la abita. Ciascun individuo è considerato come un agente, un soggetto cioè che è autonomo nelle proprie scelte, che decide singolarmente il proprio comportamento in relazione alla situazione in cui si trova: insomma, un individuo-agente (che nel seguito, spesso, chiameremo semplicemente individuo).

L’evoluzione del sistema descritto da Schelling è determinata dal fatto che ciascun individuo-agente, singolarmente e autonomamente, decida di trasferirsi o non trasferirsi dalla cella che occupa alla cella vuota più vicina. La decisione è presa in base a una sola regola, la quale esprime una preferenza individuale debole verso gli individui dello stesso colore: infatti, un individuo decide di trasferirsi solo se meno di un terzo dei vicini presenti nelle otto celle confinanti con la sua (Figura 1) sono del suo stesso colore.


Figura 1 - Il modello di Schelling: in grigio la parte del territorio urbano che il residente in una cella (indicata in nero) prende in considerazione per contare i vicini del proprio e dell’altro colore


Se un trasferimento ha luogo, esso influenza le successive analoghe decisioni sia dei nuovi vicini sia dei vicini della cella abbandonata: tanto gli uni quanto gli altri, infatti, vedono cambiare il rapporto numerico fra vicini del proprio colore e vicini dell’altro colore.

Può accadere allora che altri individui che prima erano contenti della propria situazione, in seguito al trasferimento avvenuto, contenti non lo siano più e decidano, a loro volta, di trasferirsi. Le variazioni nelle situazioni dei nuovi e dei vecchi vicini possono generare nuovi trasferimenti, e così via.

La serie di trasferimenti che si innesca per il meccanismo descritto è all’origine di risultati inattesi. Da una configurazione iniziale del modello in cui i colori delle celle sono distribuiti casualmente, con il tempo le celle di un colore si aggregano in vasti gruppi omogenei, così come le celle dell’altro colore. Si formano così i ghetti.

Più in generale, se inizialmente le celle di un colore sono alternate alle celle dell’altro colore, come in una scacchiera, nessuno si muove, poiché ciascun individuo vede intorno a sé esattamente metà dei vicini del suo stesso colore.

Se però nella scacchiera introduciamo poche perturbazioni localizzate, cambiando il colore di un piccolo numero di celle qua e là (Figura 2, a sinistra), allora si innescano i trasferimenti e il sistema inizia a evolvere.

Il modello mostra che il disequilibrio introdotto scatena la dinamica che porta alla formazione dei ghetti, alla segregazione spaziale (Figura 2, a destra).


Figura 2 - Il modello di Schelling. Iniziando da una distribuzione uniforme di celle, in cui vengono introdotte poche perturbazioni localizzate (a sinistra), il sistema evolve verso la segregazione (a destra)

Il modello consentì a Schelling di trarre alcune sorprendenti conclusioni.

L’interazione fra le scelte individuali porta a risultati di carattere collettivo che possono non avere alcuna relazione diretta con le intenzioni individuali: nessun individuo, infatti, mira a organizzare una segregazione generalizzata.

Per contro, anche se gli individui sono abbastanza tolleranti da accettare di vivere in una situazione integrata, questa è instabile. E sebbene gli individui di ciascun colore si sottraggano solo a situazioni di rilevante accerchiamento locale da parte di individui dell’altro colore, essi, nella situazione di instabilità, danno origine al processo di segregazione spaziale.
Fondamentale è l’osservazione che la segregazione spaziale si genera anche quando le preferenze individuali all’origine delle decisioni di trasferimento sono deboli, e gli individui considerano soltanto i vicini immediati.

Schelling evidenziò così che i ghetti compaiono come un fenomeno imprevedibile, in quanto non ve n’è consapevolezza negli individui che li determinano né vi sono misure in tal senso imposte dall’esterno. Compaiono in modo del tutto inatteso a partire dalle sole regole che governano la dinamica del sistema. Per questo, il fenomeno è detto emergente.
In conclusione, Schelling evidenziò che la formazione dei ghetti è l’esito di un processo interno di organizzazione del sistema, che origina dalle scelte localizzative degli individui: l’autoorganizzazione, in questo caso spaziale, del sistema.
Più in generale, Schelling evidenziò che il sistema sociale, economico e spaziale ha la capacità di autoorganizzarsi, e che ciò può essere l’esito inatteso delle sole regole interne di funzionamento del sistema stesso.
 

Dalla concezione della società come macchina alla concezione della società come organismo

Verso la metà del Ventesimo secolo, la concezione corrente della società era quella di un sistema simile a una macchina: le parti sono collegate, in modo meccanico appunto, le une alle altre.

La metafora della società come macchina ignorava la libera determinazione degli individui ed era applicata ai sistemi sociali, economici e territoriali con risultati spesso scarsamente efficaci. Da qualche decennio è in corso un progressivo abbandono di tale metafora, in favore di una concezione dei sistemi sociali, economici e territoriali, come per esempio sono le città, non più come sistemi meccanici da riequilibrare, ma come organismi che sono fisiologicamente in disequilibrio a causa dei continui flussi cui vengono sottoposti.

Nei sistemi sociali, economici e territoriali, in particolar modo nei sistemi urbani, si riconoscono numerosi sottosistemi, che sono strutture autoorganizzative di livello inferiore, sia nella dimensione spaziale, come nel caso evidenziato da Schelling, sia nelle dimensioni sociale ed economica.

I sistemi urbani sono, a loro volta, sottosistemi autoorganizzativi di sistemi più ampi, o macrosistemi, nei quali le interazioni fra le parti sono così strette da portare alla formazione, nel macrosistema, di macroaree. Queste si comportano con una relativa autonomia rispetto ad altre macroaree, seguendo dinamiche che sono loro peculiari e che rendono le macroaree in questione facilmente identificabili.

Queste varie strutture autoorganizzative sono presenti a livelli diversi: il livello delle reti di città, quello della singola città colta nella sua totalità, quello dei diversi elementi che concorrono a comporre la città, come ad esempio la rete dei trasporti, il mercato immobiliare, i flussi di persone e merci alle diverse scale spazio-temporali.

Tali strutture autoorganizzative si comportano come individui-agenti in interazione con altre strutture autoorganizzative che si comportano anch’esse come individui-agenti, le une e le altre appartenendo a un macrosistema più ampio. Si originano così processi guidati solo da regole interne, che conducono a un’autoorganizzazione, per questo detta endogena, che si estende su molti livelli o dimensioni.


La nuova concezione dei sistemi urbani come sistemi complessi

Quanto detto comporta che le città vengano viste non più come artefatti progettati, ma come sistemi complessi multidimensionali che evolvono per effetto di dinamiche spontanee ed endogene. Sistemi caratterizzati, come avviene anche per gli esseri viventi, dalla rottura e dalla continua formazione, appunto spontanea ed endogena, di strutture: in questo caso, strutture sociali, economiche e fisico-spaziali.

Per la comprensione della dinamica autoorganizzativa dei sistemi urbani, non si deve trascurare che:

le interazioni tra gli individui seguono forme non lineari, cioè caratterizzate dalla non proporzionalità fra la causa, che produce l’effetto, e l’effetto stesso;

le informazioni di cui gli individui dispongono sono sempre incomplete e, in genere, differiscono da un individuo all’altro;
i processi mentali differiscono da un individuo all’altro;

le conoscenze che i singoli individui traggono dalle informazioni differiscono da un individuo all’altro, sia perché le informazioni possedute variano da un individuo all’altro sia perché gli individui, in quanto seguono processi mentali diversi, anche da uguali informazioni possono ricavare conclusioni differenti;

ciascun individuo è un agente, il quale «si adatta» al mondo che lo circonda e con cui è in interazione;

a seguito dell’adattamento, ciascun agente, accumulando esperienza e cercando di migliorare gli esiti delle proprie azioni, forma e modifica continuamente le proprie regole interne di comportamento, secondo il proprio individuale punto di vista.

Tutti questi elementi sono estranei allo schema interpretativo dell’economia neoclassica, fondato sull’idea di un unico homo oeconomicus, razionale, onnisciente e standardizzato. Per quanto detto, le città, sia piccole sia grandi, vanno viste come sistemi complessi. Pertanto, esse possono essere accompagnate e assistite nella loro evoluzione con appropriate azioni calate dall’alto, ma non possono essere progettate esclusivamente in modo centralizzato o top-down.

Lo studio di una modellistica appropriata secondo l’approccio della complessità porta verso la formazione di un quadro interpretativo nel quale il sistema urbano è visto come se fosse messo in movimento dal basso, con un processo bottom-up nel quale agiscono spinte endogene legate alle scelte autonome degli individui.

Da una trentina d’anni ormai, la prospettiva della complessità appare di grande efficacia per la descrizione, l’interpretazione e una più profonda comprensione di svariati fenomeni nelle scienze sia della natura sia della società.
La complessità si sviluppa nell’ambito della preesistente visione sistemica dei fenomeni, aggiungendo a essa la peculiare attenzione al fatto che un sistema complesso è caratterizzato da interazioni non lineari fra gli elementi che lo costituiscono e da continue azioni del sistema sulla parte del mondo esterno con la quale si trova a contatto: l’ambiente.
Con l’ambiente il sistema scambia ininterrottamente flussi di varia natura, e da esso riceve azioni di risposta: il feedback ambientale.

La non linearità delle interazioni, il feedback ambientale e i continui flussi, a causa dei quali il sistema è perennemente in stato di disequilibrio, generano fenomeni emergenti inattesi e forme di autoorganizzazione.

Si usa sintetizzare le caratteristiche descritte, che definiscono un sistema complesso, con l’espressione: «il tutto è più che la somma delle parti». Della nuova visione hanno beneficiato in modo particolare le scienze della società, i cui metodi di indagine hanno trovato nella complessità un quadro interpretativo potente ed efficace. In particolare, ha beneficiato della nuova visione lo studio dei sistemi urbani.

In tale quadro, le fenomenologie non vengono descritte come una serie di fatti isolati, bensì come la manifestazione spontanea di proprietà specifiche del particolare sistema, in quanto implicite nelle interazioni fra gli elementi del sistema stesso.

 

Il modello di Gilbert e altri che descrive e investiga la dinamica del mercato abitativo urbano inglese

Diremo ora brevemente del modello ad agenti della dinamica del mercato abitativo urbano inglese, che Gilbert e altri hanno sviluppato nel 2009.

L’idea di base del modello è che per riprodurre le caratteristiche del mercato abitativo urbano inglese sia sufficiente prendere in considerazione le interazioni fra tre tipi di agenti: i venditori, gli acquirenti e le agenzie immobiliari. Non v’è bisogno d’altro. Il modello, infatti, non considera né le caratteristiche delle singole unità immobiliari né i loro attributi spaziali, come la vicinanza al centro o ai servizi, e nemmeno distingue fra quartieri poveri e quartieri ricchi. I prezzi sono le uniche informazioni che gli agenti si scambiano e che determinano le decisioni degli agenti e i prezzi delle transazioni. (Come abbiamo detto precedentemente, gli agenti sono individui capaci di decisioni autonome, i quali scelgono in relazione al comportamento degli altri agenti, ma non necessariamente allo stesso modo degli altri agenti.) Anche in questo modello, come in quello di Schelling, si manifestano fenomeni emergenti, che in questo caso sono di natura sociale, economica e spaziale, i quali originano esclusivamente dalle interazioni fra i tre tipi di agenti presi in considerazione. La città è rappresentata da una matrice di celle, in cui ogni cella rappresenta un’unità abitativa. A partire dalla distribuzione casuale delle valutazioni iniziali dei prezzi delle abitazioni riportata in Figura 3, a sinistra, ove il colore della cella indica la valutazione iniziale del prezzo, dall’applicazione del modello si trae che possono formarsi aree nelle quali i prezzi delle abitazioni tendono a uniformarsi su valori elevati. Ciò è evidenziato in Figura 3, a destra, nella quale si osserva la formazione nella città di un’area centrale nella quale si ha prevalenza di celle di colore blu, le quali indicano prezzi delle abitazioni elevati. Tale area si forma, sottolineiamo, non perché il modello all’inizio consideri il centro della città come più richiesto e di conseguenza più costoso, ma come fenomeno emergente in un sistema complesso: l’esito della dinamica generata solo dalle interazioni fra gli agenti.

 

Figura 3 Il modello di Gilbert e altri. Iniziando da una distribuzione casuale delle valutazioni dei prezzi delle abitazioni (a sinistra), il modello mostra la formazione di un’area centrale di prezzi elevati (a destra)

Il fenomeno in oggetto, dunque, può prodursi anche nella totale assenza delle cause che vengono abitualmente addotte per spiegare la formazione di prezzi delle abitazioni elevati nei centri delle città: cause sicuramente non infondate, ma, come il modello mostra, non necessarie.

La sorpresa, secondo noi, sta proprio qui. Non nel formarsi di un’area centrale di prezzi elevati, che è fenomeno noto, bensì nella causa che da sola è in grado di generarla: l’interazione fra gli individui; causa, questa, mai presa in considerazione, come unica causa, negli studi precedenti.

Più in generale, il lavoro di Gilbert e altri conferma l’idea di base che il mercato è anch’esso un sistema complesso, la cui dinamica complessiva è l’esito endogeno, non preventivato dall’esterno né prevedibile, che risulta dalle interazioni non lineari fra gli agenti che si scambiano continuamente informazioni.

 

Conclusione: I concetti fondamentali della complessità in economia

Concludiamo osservando che, in realtà, nell’economia neoclassica tradizionale non sono nuovi i concetti di feedback e di fenomeno emergente.

Per quanto attiene al concetto di feedback, si può ad esempio osservare che la teoria dell’equilibrio economico generale è, in un certo senso, una formalizzazione della proposizione: «in economia ogni cosa influenza ogni altra cosa». Il concetto di fenomeno emergente, fenomeno collettivo imprevedibile a partire dal singolo elemento del sistema, è presente da tempo nella scienza economica. Un esempio è il ciclo economico, in cui tutti gli agenti interagiscono in modo non lineare, ricevono feedback dalle loro azioni e danno origine a un fenomeno collettivo indipendente dalle singole volontà.
La stessa mano invisibile di Adam Smith ha le caratteristiche di fenomeno emergente: il mercato, messo in moto dagli egoismi individuali, si comporta «come se» fosse guidato da una mano invisibile verso la realizzazione del benessere collettivo.

È proprio il «come se» a rendere la mano invisibile un fenomeno emergente. La mano invisibile non è un’entità né interna né esterna al sistema: il sistema economico evolve per Adam Smith in modo bottom-up, per effetto solamente delle decisioni dei singoli agenti, ma globalmente si comporta «come se» fosse presente una mano invisibile che lo guida; mano invisibile che, nei fatti, non esiste.

Nella teoria economica tradizionale (la cosiddetta economia mainstream) è considerato più raramente il concetto di autoorganizzazione di un sistema. Invece, la ricerca scientifica attuale presta un’attenzione crescente al ruolo delle interazioni non lineari fra le componenti di un sistema in disequilibrio. Queste interazioni sono all’origine dell’autoorganizzazione: sta qui il punto focale della prospettiva della complessità. Il quadro interpretativo che si forma in questo nuovo approccio vede dunque la dinamica del sistema economico originarsi nella rete delle interazioni non lineari fra le parti del sistema. Non invece come il risultato della semplice somma delle dinamiche delle singole componenti del sistema, considerate isolatamente, come è nelle linee guida della teoria economica tradizionale.

La prospettiva della complessità vede i sistemi come un’unità indivisibile non riconducibile alla somma dei comportamenti individuali delle parti componenti. Ciò è estremamente promettente per la comprensione di quei fenomeni sociali, economici e territoriali che sfuggono all’analisi condotta secondo metodologie e punti di vista tradizionali.

 

Bibliografia

Bertuglia C.S., Vaio F. (2003) Non linearità, caos, complessità. Le dinamiche dei sistemi naturali e sociali, Bollati Boringhieri, Torino [seconda edizione riveduta e ampliata: (2007); edizione inglese: (2005) Nonlinearity, Chaos and Complexity. The Dynamics of Natural and Social Systems, Oxford University Press, Oxford].
Bertuglia C.F., Vaio F. (2011) Complessità e modelli. Un nuovo quadro interpretativo per la modellizzazione nelle scienze della natura e della società, Bollati Boringhieri, Torino.
Gilbert N., Hawksworth J.C., Swinney P. (2009) An Agent-based Model of the English Housing Market, CRESS – Centre for Research in Social Simulation, University of Surrey; Proceedings of the AAAI Spring Symposium, Stanford, California, http://www.aaai.org/Papers/Symposia/Spring/2009/SS-09-09/SS09-09-007.pdf.
Schelling Th.C. (1978) Micromotives and Macrobehavior, Norton, New York.

 

Questo saggio è stato pubblicato in italiano e in inglese nel Volume XXXII «The City Crisis - The Priority of the XXI century ... for a "UN World Conference" ... for a "UN Resolutions"», Tomo 8°, a cura di Corrado Beguinot, Giannini, Napoli, 2011, nella collana «Studi urbanistici» della Fondazione Aldo Della Rocca (www.fondazionedellarocca.it). Il Volume è stato presentato alla Conferenza Internazionale sulla Città Interetnica, Roma, Campidoglio, giugno 2011, che ha visto l’attiva partecipazione del Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon; e alla Tavola rotonda «La città interetnica: gestione e politiche per una migliore integrazione dei migranti», organizzata dalle Rappresentanze Permanenti alle Nazioni Unite di Italia e Canada, con Alliance of Civilizations e la International Organization for Migration, New York, Settembre 2011.

Cristoforo Sergio Bertuglia, già professore di Pianificazione urbana e regionale, Politecnico di Torino, [email protected]. Franco Vaio, già professore di Modelli matematici per le applicazioni, Politecnico di Torino, [email protected]Fonte: ComplexLab



 

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