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Il pattern language come forma di espressione organica

Lunedì 08 Aprile 2013 15:21  |  Teoria  |  

di Antonio Caperna

Esiste una forma di linguaggio, una struttura metafisica dell’umanità storica, capace di generare un linguaggio architettonico in grado di comunicare l’essenza della vita?

Il mezzo per conoscere la risposta passa attraverso una prima analisi filosofica, che mostrerà due macrostrutture presenti nel pensiero Occidentale e che hanno caratterizzato l’interpretazione che a determinati eventi viene data. Parlo essenzialmente di due modalità di rappresentazione del mondo ad opera di tutti noi: una “organica”, ovvero una struttura profonda che racchiude nel suo nucleo il pensiero mitologico, religioso ed artistico e che attraverso le sue espressioni cerca di comprendere le relazioni più intime del mondo vivente; ed in opposto a questa una struttura “tecnica” la quale, sempre di più nell’età moderna, ha finito per identificare le nostre azioni-creazioni come enti capaci di essere misurati ed assoggettati al dominio della scienza sperimentale e della tecnica, precludendosi, in tal modo, la possibilità di pensare l’Uomo in termini di “Dasein”. Questo oblio dell’”essenza” della natura umana ha generato delle architetture mute intrinsecamente e verso ciò che le circonda.

Come e quando si è affermata una tale visione del mondo?

L’affermazione di struttura filosofica che inquadra ogni cosa in una ideologia trionfalistica del progresso sottomesso alla verifica del comando scientifico ha avuto la definitiva affermazione attraverso e per mezzo dell’Illuminismo, il quale ha partorito una visione dell’esistenza e del Creato fondata sulla ragione, la quale va a contrapporsi alla visione “umanistica” e “classicheggiante” del mondo; una visione, quest’ultima, dove le parole destino e segno hanno un senso che va oltre la scienza, attraverso un intimo legame che lega il microcosmo con il macrocosmo in quanto parte del grande “cerchio”, all’interno del quale è racchiuso il senso dell’”esistenza”. Questa struttura “umanistica” concepisce la storia come “azione creativa dell’Uomo”. Allora essere nella storia vuol dire diventare consapevoli che in noi stessi c’è l’azione e la forza creatrice; essere consapevoli vuol dire subordinare la necessità meccanica (causa) alla necessità organica, nel senso che quest’ultima è il vero fondamento della vita e atto creativo rispetto alla prima che definisce limiti e regole. Se si vuole dare un corpo a questo contrapporsi di uno stesso animo dobbiamo, allora, pensare al Faust di Göethe. Faust ama la dinamica dello spazio illimitato, i campi magnetici, le molecole dei gas, i flussi delle correnti elettriche; ma anche la forza ascendente delle cattedrali gotiche e il fascino dell’ignoto. L’anima di Faust nasce dalla tensione e dalla congiunzione della forza insita nell’Uomo con la rappresentazione di Potenza Divina (Dio, Natura, es. la filosofia di Bruno). La vita di Faust è quindi un continuo contrapporsi tra una “logica umana” ed una “logica tecnica”, ovvero la lotta tra un frammento di vita cosmica - in cui la morte è rinascita e il dolore diviene amore, con un frammento di vita tecnica in cui la potenza e la volontà di dominio sul Creato sono ricercate affannosamente. Una lotta tra due “essenze” che produce uno scontro, una contrapposizione non tanto sugli effetti che ad esempio una legge fisica produce, quanto sul valore, sul significato simbolico che essa assume nel complesso della nostra civiltà. Ecco allora che l’anima tecnica faustiana sulla natura ha generato una conoscenza concettuale del Creato, la quale si esprime sotto forma di scienza esatta, la qual cosa genera, attraverso l’illusione del progresso, la dittatura del denaro ed una civiltà che ha attribuito in significato idolàtrico alla macchina subordinano ad essa ed alle sue leggi la nostra essenza.

Si è assistito ad una implosione interiore della nostra civiltà, la quale ha prodotto un dualismo sul valore ultimo e sul senso da dare all’esistenza, un lento quanto inesorabile indebolirsi del “senso mistico” come motore di ricerca sul significato ultimo del Creato, per contro ad un nuovo modo di percepire la realtà, attraverso cioè il filtro delle conoscenze tecnico-scientifiche, le quali fornivano all’Uomo nuovi strumenti per affermare sempre di più la propria forza, lasciandosi dietro di se tutte quelle manifestazioni di “amore cosmico” che avevano caratterizzato la fanciullezza di questa nostra civiltà.

L’operazione svolta da Alexander, attraverso il Pattern Language, si inserisce senza dubbio in quella che sopra ho definito una “logica umana”. Così come Heidegger parla di un carattere poetico di tutte le arti così Alexander definisce una poetica del Pattern Language. Una poetica che si esprime attraverso e per mezzo di un significato ancestrale dei patterns, un significato ricco di “relazioni organiche”, che possono esprimersi per mezzo della matematica frattale, così come dimostrato negli scritti di Nikos Salingaros.

Molti obietteranno che un linguaggio può in realtà divenire una sorta di reticolo chiuso, una prigione per gli architetti o gli urbanisti. Ebbene credo che questo sia un falso problema. Che questo si può evincere chiaramente dai linguaggi scritti e parlati, dove l’efficacia della comunicazione e la sua creatività non sono certo limitate dalla sintassi. In ultima analisi se guardiamo all’architettura e all’urbanistica dello scorso secolo troviamo forme espressive che hanno prodotto molti dogmi, inducendo, tanto nell’architettura quanto nell’urbanistica, forme esasperate di “segregazione delle funzioni piuttosto che una loro integrazione” . Tutto ciò ha generato uniformità provocando in tal modo la fine di tutte quelle variazioni che determinano l’identità di un luogo. Se poi a tutto ciò si aggiungono le problematiche indotte dalla società industriale ecco che diviene inesorabile la tendenza alla disgregazione delle relazioni umane con tutte le conseguenze sociali che questo si porta dietro. Ecco allora la necessità di un processo progettuale che possa concorrere in modo nuovo, anche attraverso l’apporto dei cittadini, alla costruzione di forme archetipali “che potendo essere associate a molteplici significati, possono non soltanto assorbire un programma ma possono generarne uno”.

Nel suo scritto “Tre dialoghi” Paul Valery incarna nelle parole del personaggio Eupalinos l’ideale organico: … “E dimmi (giacchè sei così sensibile agli effetti dell’architettura), non hai osservato, andando per la città, che tra gli edifici che la popolano alcuni sono muti altri parlano e altri ancora, i più rari, cantano? E non dalla loro funzione, né dalla loro configurazione generale sono essi a tal punto animati o ridotti al silenzio: un fatto del genere è in relazione col talento del costruttore o col favore delle Muse”…

… “Ebbene: quegli edifizi che non parlano e non cantano meritano solo il disprezzo; sono cose morte, gerarchicamente inferiori ai mucchi di pietrame vomitati dalle carrette dei capomastri. Quelli, almeno, dilettano l’occhio sagace con l’ordine accidentale che deriva loro dalla caduta… In quanto ai monumenti che si limitano a parlare, ne ho stima se parlano chiaro. Qui – essi dicono – si riuniscono i mercanti. Qui i giudici deliberano. Qui gemono i carcerati. Qui gli amanti della crapula…

Quelle logge di mercanti, quei tribunali e quelle prigioni parlano, quando i costruttori sanno l’opera loro, il linguaggio più limpido. Gli uni ingoiano visibilmente una folla attiva e perennemente rinnovata; le offrono porticato e peristili, la invitano con numerose porte e con comode gradinate a riunirsi in gruppi nelle loro sale vaste e bene illuminate, a dedicarsi al fermento degli affari… ” Come è facilmente intuibile, attraverso le parole di Valery emerge la vera architettura, quella che sa’ trasmettere attraverso quello che Valery chiama “canto”, la sua insita “armonia matematica” e il suo sapersi plasmare alla vita.

Nell’ultimo scorcio del XX secolo abbiamo sempre più assistito a brutali eccessi progettuali, a forme espressive che si sono succedute nel lasso di qualche lustro. Tali forme espressive non sono state capaci di attecchire nella società perché rinchiuse in ambiti culturali ristretti. Credo che si possa parlare come di rappresentazioni del malessere o delle angosce di una ristretta cerchia di architetti, i quali, però, non hanno saputo dare risposte nelle loro rappresentazioni né il vuoto nè all’impoverimento urbano e sociale della società occidentale. Si pensi, ad esempio a quelle architetture che attraverso una forma espressiva “tecnocratica” e rivolta verso “l’era spaziale” hanno rappresentato scenari urbani dove lo spazio della città era fondamentalmente ostile all’uomo, quasi espressione e raffigurazione di presagi di morte. O, ancora, espressioni di silenziose utopie colme di ottimismo tecnologico, che addirittura in alcune proposte evocano immagini metafisiche, effimere e criptiche, alcune delle quali sono votate all’autodistruzione.

Queste architetture sono solo la rappresentazione fisica di un malessere presente nella nostra società. Apprezzo, di talune di esse, non l’aspetto architettonico ma quello pittorico, quindi puramente speculativo attribuendogli una espressività conchiusa in se stessa e per se stessa.

Vorrei concludere dicendo che il Pattern Language, nella sua accezione organica, non vuole essere, né tanto meno è, una limitazione alla creatività dell’uomo. Tutt’altro. Esso tenta solo di rendere percepibili entità archetipali presenti nella vita, attraverso una operazione di continua autorigenerazione perché “… niente di ciò che è bello è separabile dalla vita; e la vita è ciò che muore”.

Bibliografia

C. Alexander, S. Ishikawa, M. Silverstein, M. Jacobson, I. Fiksdahl-King, and S. Angel (1977), A Pattern Language, Oxford University Press, New York.
Nikos A. Salingaros (2000), The Structure of Pattern Languages Architectural Research Quarterly volume 4, pagine 149-161.
Nikos A. Salingaros (2000), How the Pattern Language Defines a Geometry for Urban Interfaces Talk presented at the Conference "Interactive design with local communities", Rome, ITALY, 13-14 April 2000. Published in the Proceedings: "Seminario Internazionale 'Progettare con la comunità', Università Roma Tre, Dipartimento di Progettazione e Scienze dell'Architettura", pages 15-21.
Nikos A. Salingaros (1999), Architecture, Patterns, and Mathematics Nexus Network Journal volume 1, pages 75-85.
(5) Hermann Hertzberger, “Lezioni di Architettura”, Ed. Laterza, Bari
(6) Pul Valery, “Tre dialoghi”, Einaudi, 1990
(7) Antonio Caperna, Il pattern language, in http://www.archimagazine.com

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